Francesco Cossiga era nato a Sassari il 26 luglio 1928.
È stato ministro dell’interno nel Governo Andreotti III dal 1976 al 1978, quando si dimise in seguito all’uccisione di Aldo Moro. Dal 1979 al 1980 fu presidente del Consiglio dei ministri e fu presidente del Senato della Repubblica nella IX legislatura dal 1983 al 1985, quando lasciò l’incarico perché fu eletto al Quirinale.
Iniziato il mandato all’età di 57 anni, è stato il presidente della Repubblica eletto alla più giovane età.
Iscritto alla sezione sassarese della Democrazia Cristiana a 17 anni, conseguì la maturità in anticipo e si iscrisse al corso di laurea in giurisprudenza, per laurearsi, a soli vent’anni, nel 1948, iniziando una carriera universitaria che lo portò alla cattedra di diritto costituzionale dell’Università di Sassari.
In quegli anni ha fatto parte della FUCI con ruoli di primo piano nella FUCI di Sassari e a livello nazionale.
Alla fine degli anni cinquanta iniziò la sua carriera politica a capo dei cosiddetti giovani turchi sassaresi: eletto deputato per la prima volta nel 1958 divenne poi il più giovane sottosegretario alla difesa nel terzo governo Moro (23 febbraio 1966), il più giovane ministro degli Interni (il 12 febbraio 1976, a 48 anni), il più giovane presidente del Senato (12 luglio 1983, a 55 anni) e, infine, il più giovane Presidente della Repubblica, dove arrivò, a 57 anni non ancora compiuti, il 24 giugno del 1985, con una vasta maggioranza alla prima votazione.
Nel 1985 divenne l’ottavo presidente della Repubblica Italiana, succedendo a Sandro Pertini. Per la prima volta nella storia repubblicana, l’elezione avvenne al primo scrutinio, con una larga maggioranza (752 su 977 votanti): Cossiga ricevette il consenso oltre che della DC anche di PSI, PCI, PRI, PLI, PSDI e Sinistra indipendente.
La presidenza Cossiga fu sostanzialmente distinta in due fasi quasi eterogenee.
Rigoroso nell’osservanza delle forme dettate dalla Costituzione fu il classico presidente notaio nei primi cinque anni di mandato. Unico indizio della sua futura posizione di denuncia delle reticenze del sistema politico fu la sua insistente richiesta di chiarire il ruolo del Capo dello Stato nel caso di conferimento dei poteri di guerra al Governo.
La caduta del muro di Berlino segnò l’inizio della seconda fase della sua presidenza.
Secondo Cossiga la fine della guerra fredda e della contrapposizione di due blocchi avrebbe determinato un profondo mutamento del sistema politico italiano che nasceva da quella contrapposizione ed era a quella funzionale.
La DC e il PCI avrebbero dunque subito gravi conseguenze da questo mutamento, ma Cossiga sosteneva che i partiti politici e le stesse istituzioni si rifiutavano di riconoscerlo.
Iniziò una fase di polemica politica, spesso provocatoria e volutamente
eccessiva, e con una fortissima esposizione mediatica fu chiamato «grande esternatore», al solo scopo di dare delle «picconate a questo sistema», che perciò valsero a Cossiga negli ultimi due anni di mandato l’appellativo di «picconatore».
Il 6 dicembre 1991 fu presentata in parlamento da parte dell’allora minoranza la richiesta di messa in stato di accusa per Francesco Cossiga.
Tra i firmatari delle mozioni vi erano Ugo Pecchioli, Luciano Violante, Marco Pannella, Nando Dalla Chiesa, Giovanni Russo Spena, Sergio Garavini, Lucio Libertini, Lucio Magri, Leoluca Orlando, Diego Novelli.
Il comitato parlamentare ritenne tutte le accuse manifestamente infondate, come si legge negli atti parlamentari del 12 maggio 1993.
La Procura di Roma richiese l’archiviazione a favore di Cossiga il 3 febbraio 1992 e l’8 luglio 1994 la richiesta fu accolta dal tribunale dei ministri.
Cossiga decise in un primo momento di ritirarsi dall’attività di partito e di svolgere soltanto l’attività di senatore a vita. Successivamente, nel febbraio del 1998, diede vita ad una nuova formazione politica, l’UDR (Unione Democratica per la Repubblica), con l’intenzione di costituire un’alternativa di centro e ricompattare le forze ex-democristiane.
L’UDR raccolse l’adesione dei Cristiani Democratici Uniti di Rocco Buttiglione e di Clemente Mastella, alla guida di un gruppo di scissionisti del Centro Cristiano Democratico.
Quando Rifondazione comunista fece mancare il suo appoggio al governo Prodi I, che venne battuto alla Camera per un voto, Cossiga fu determinante per la formazione del governo D’Alema I.
Il suo appoggio venne deciso, come Cossiga spiegò in una conferenza stampa all’uscita dalle consultazioni con il presidente Scalfaro, per sancire irrevocabilmente la fine della conventio ad excludendum nei confronti del PCI.
Massimo D’Alema fu il primo presidente del Consiglio a provenire dalle file dell’ex PCI. Per l’occasione Cossiga regalò al novello capo del Governo in Parlamento un bambino di zucchero, ironizzando un desueto luogo comune su usanze cannibalistiche dei comunisti.
Dopo un anno di vita, l’UDR si sciolse e larga parte di essa confluì nel nuovo soggetto politico creato da Clemente Mastella, l’UDEUR. Cossiga vi aderì in maniera puramente simbolica, per fuoriuscirne definitivamente il 6 novembre 2003, quando abbandonò, al Senato, il gruppo misto per iscriversi al gruppo per le autonomie.
Nel giugno 2002 ha annunciato le dimissioni da senatore a vita, che peraltro non ha presentato.
Il 19 maggio 2006 ha votato la fiducia al governo Prodi II.
Il 27 novembre 2006 ha presentato al presidente del Senato, Franco Marini, le dimissioni da senatore a vita, ritenendosi «ormai inidoneo ad espletare i complessi compiti e ad esercitare le delicate funzioni che la Costituzione assegna come dovere ai membri del parlamento nazionale». Le dimissioni sono state respinte dal Senato in data 31 gennaio 2007: il numero dei senatori contrari alle dimissioni è stato di 178, i favorevoli 100 e gli astenuti 12.
L’intera vicenda si è sviluppata in seguito a un’interpellanza parlamentare del mese di novembre 2006 nella quale il presidente emerito richiedeva al ministro dell’Interno Giuliano Amato di chiarire i motivi del pagamento di due giornalisti da parte del dipartimento della Pubblica sicurezza, diretto dal prefetto Giovanni De Gennaro.
Data la non immediata disponibilità a chiarire direttamente la vicenda da parte del ministro Amato, in aula venne letta una risposta scritta da De Gennaro.
Non condividendo il comportamento tenuto dal Ministro, Cossiga ribatteva con una delle sue note picconate: «Ha preferito rispondere lo scagnozzo di quel losco figuro (tale Roberto Sgalla) del capo della Polizia che si chiama Gianni De Gennaro …».
Nella stessa data, prima del voto di cui sopra, Francesco Cossiga ha presentato pubbliche scuse allo stesso De Gennaro.
Il 6 dicembre 2007 è stato determinante per salvare dalla crisi il governo Prodi, con il suo sì al decreto sicurezza, sul quale l’esecutivo aveva posto il voto di fiducia.
Nel 2008 Cossiga ha votato la fiducia al governo Berlusconi IV; in precedenza aveva votato la fiducia a Berlusconi un’altra volta, nel 1994.