Quattrocento milioni per far fallire il referendum

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All’orizzonte, adesso che siamo decisamente entrati in marzo, mese che prelude alla primavera (anche se l’inverno continua con il maltempo a far sentire la sua presenza), si profilano all’orizzonte degli importanti appuntamenti elettorali. Si voterà tra qualche mese per il Parlamento Europeo, per i rinnovi dei consigli comunali e infine per il referendum sulla legge elettorale (i quesiti presentati dal comitato referendario –tanto per ricordarlo – puntano a trasferire il premio di maggioranza dalla coalizione alla lista più votata, introducendo di fatto un sistema bipartitico, in cui i piccoli partiti non sarebbero più indispensabili per vincere). Tre “obblighi” elettorali. Tre occasioni di democrazia in cui il cittadino italiano è chiamato a esprimere la propria opinione. Il buon senso avrebbe suggerito che gli appuntamenti si concentrassero in un’unica tornata, non foss’altro per motivi di risparmio e contenimento della spesa pubblica. Invece il Governo ha deciso di “accorpare” soltanto due consultazioni (Europee e amministrative) sono state fissate per il 6 e 7 giugno, lasciando la terza in un successivo giorno. C’è chi ha visto, in tale decisione, considerato che ci sono molti partiti che non sono d’accordo della consultazione referendaria, il tentativo (neppure tanto velato, di far fallire lo stesso referendum. Visto che i costi per lo Stato nell’indire le lezioni si aggirano attorno ai 200 milioni (in parole povere quanto costa la “social card”) e in maniera indiretta attorno ai quattrocento milioni, non è una cifra di poco conto e, se si considera i tempi che stiamo vivendo in cui l’economia risente della crisi internazionale, vediamo di capire meglio come stanno le cose. Costi diretti: remunerazioni ai presidenti e agli scrutatori (61.212 sezioni in Italia e 1.309 sezioni all’estero); trasporto delle schede;  costi per il personale di sicurezza. Costi indiretti: il tempo “speso”per recarsi due volte ai seggi; spese per le famiglie i cui figli frequentano scuole trasformate in seggi; perdita di ore lavorative. Scrive la redazione della “Voce.info” : “I referendum tenutisi nel periodo 2003-2006 sono costati mediamente 315 milioni ciascuno. Abbinandoli ad altra elezione ovviamente non si potrebbe risparmiare integralmente questa cifra, perché alcune spese (ad esempio la stampa delle schede referendarie) devono essere sostenute comunque”. “Il Ministro Maroni nella conferenza stampa dello scorso dicembre aveva quantificato i risparmi complessivi legati all’abbinamento di amministrative ed europee in 150 milioni. I risparmi sono ovviamente crescenti nelle dimensioni dell’elettorato dato che il grosso dei costi, come spiegato nella stessa relazione tecnica, consiste nell’allestimento dei seggi, nella remunerazione di presidenti di seggio e scrutatori e nei costi del personale addetto alla sicurezza. Le amministrative del giugno 2009 riguardano un elettorato potenziale di circa due terzi di quello interessato dal referendum. Facendo le dovute proporzioni si ottiene perciò un risparmio di circa 225 milioni tenendo anche il referendum il 6-7 giugno. Una seconda stima può essere ottenuta analizzando in dettaglio le singole voci di spesa che potrebbero essere evitate tenendo il referendum assieme alle altre consultazioni”. Se consideriamo, allora tutto questo, si potrebbe arrivare a “sperare” che la nostra classe politica ripensi all’opportunità di indire in una sola tornata i prossimi appuntamenti elettorali; il contribuente risparmierebbe, come dice appunto “Lavoce.info”, quattrocento milioni di euro.

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