Lettera al Dr. Malacarne dal familiare di un paziente
Pisa – Ci sono luoghi al mondo sospesi tra la vita e la morte.
Luoghi dove non vorresti mai entrare, posti che tu pensi lontani dalla vita quotidiana, da quelle urla, e da quegli orgogli che riempiono le noie delle nostre vite. E invece quei luoghi sono anch’essi parte della vita perché, stranamente, per un buffo scherzo del destino, ci si può ritrovare lì, in un luogo sconosciuto, in un abisso talmente fondo che non riesci a capire quanto sia profondo il tuo mare.
Il reparto di rianimazione del Dea all’ospedale di Cisanello (Pisa) è uno di questi luoghi.
Il clima però che si respira è rilassato e silenzioso, lontanissimo dall’ambiente stressante spesso tipico di questi reparti dove si lavora in continua deadline e da dove si ricevono le urgenze come routine. Ad uno sguardo disattento ciò che si avverte è un armonica sinergia delle parti come in un alveare, dove ogni ape ha il proprio compito e l’obiettivo è la produzione del miele sotto la supervisione dell’ape regina. Ma qui l’efficacia, l’efficienza non sono in antitesi con la pietas della scienza infermieristica antica e l’umanizzazione non è in contrasto con l’elevata professionalità diventandone la sua forza e la sua sostanza.
Al di qua della porta blu c’è la sala di attesa, che è un po’ il purgatorio degli esami di coscienza sulla vita in generale dove ripercorriamo i nostri egoismi e i nostri errori. In mezzo, la porta blu, che fa da spartiacque tra un mondo con le sue leggi ed un altro mondo, che continua ad usare quelle leggi per accostarsi al mistero. Pochi attimi e siamo dentro un abisso.
In fila come dei condannati i familiari eseguono il rito del lavaggio delle mani, per non infettare, per non essere portatori sani di batteri killer.
Non tutte le rianimazioni permettono ai familiari di entrare e di dare una carezza al proprio caro.
Quella in cui siamo si chiama rianimazione aperta, voluta e cercata, dal suo capitano e dal coordinatore. Il primo è il primario, il Dott. Paolo Malacarne, un uomo barbuto, silenzioso, apparentemente freddo, ma di una visione verso il malato e i suoi familiari rara e profonda. L’altro, una persona poliedrica, il Dott. Nunzio De Feo, di alta statura, energico, coordina ma senza imporre, L’uno si integra con l’altro, per armonizzare il gruppo, per creare un ambiente sereno nell’inferno quotidiano. La motivazione diviene allora veicolo di passione per un lavoro che si confronta tra la vita e la morte ed ogni secondo opera tra eros e thanatos.
Ci sono dodici zattere con dei corpi sopra, ognuno attaccato ai propri macchinari che monitorizzano il viaggio, ma non ne danno le coordinate reali di dove sono, dove sono le loro menti, se hanno emozioni, se sentono o cosa sentono. Tutto sembra fermo, il tempo nella rianimazione si dilata e quasi non esiste, non si misurano più le ore, ma per quei corpi il metro di misura sono i mesi e gli anni. Tutto si distorce come in un’equazione di Einstein, soltanto che lo spazio e il tempo si dilatano o si accorciano senza una precisa costante, senza un preciso senso razionale.
La malattia coinvolge tutti e raramente unisce, di solito separa, mescola le carte in tavola e crea un nuovo ordine.Per tale ragione qui sono molto attenti al dolore dei familiari ed al modo in cui lo affrontano quotidianamente, cercando di dare una direzione e dei consigli dettati dalla pluriennale esperienza, consapevoli che il concetto che “la vita normale continua anche nella malattia” è difficilmente accettato. E’ qui che la straordinaria squadra blu dei medici e infermieri lotta ogni istante per la vita del paziente, per mantenerlo in vita, per ridargli una speranza di vita.
Vita direte voi?
Che vita c’è dentro un reparto di rianimazione?
Beh, c’è più vita in quel reparto, dietro quella porta blu, che in una discoteca il sabato sera. Un autore scrive nel suo libro che, in rianimazione, la vita è lunga quanto il tubo che ti connette ad un respiratore.E allora?
E’ vita stare attaccati ad un respiratore con la dignità pur curata, ma ridotta al minimo?
Ci siamo risposti risposto con un’altra domanda: se i medici lottano per dare anche quella minima dignità, con tutta la determinazione e passione, se non avesse senso, cosa lo farebbero a fare?Ci siamo convinti che anche in quella infernale situazione la vita sembra essere più forte della morte, quei fili e tubi trattengono con forza la vita come un cane trattiene il suo osso tra i denti.
E per quanto riguarda la morte, beh, potrebbe sembrare uno spreco ma, come diceva la Fallaci, anche senza quello spreco di morte non ci sarebbe la vita.
Dedichiamo questo articolo al primario di rianimazione di Cisanello di Pisa il Dr. Paolo Malacarne, al coordinatore Dr. Nunzio De Feo, e a tutto il personale medico ed infermieristico che ha curato e assistito il paziente Orlando Baglini e gli hanno fatto rivedere il mondo.