L’ultimo atto di Silvio berlusconi

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E’ finita come doveva finire l’era berlusconiana. E’ finita in maniera ingloriosa (secondo alcuni), con un Paese alle prese con una crisi finanziaria tra le più gravi (se non la più pesante) della sua storia recente. Un’agonia che è durata fin quasi all’impossibile, quando tutto deponeva a sfavore del cavaliere. Da oggi occorre pensare in un altra maniera, avendo tra le priorità dell’agenda il bene comune, quello del Paese prima di tutto. Alle 20,30 il Cavaliere è salito al Colle per rassegnare le dimissione, rimettendo nelle mani del capo dello Stato l’incarico che gli era stato conferito, visto l’esito delle elezioni politiche che si erano appena svolte. Si chiude il sipario, cade l’ultima scena del Cavaliere di Arcore che da domani tornerà ad occuparsi a pieno titolo del suo Milan. E i dileggi non si contano, le battute sarcastiche non sono state avare.

Bene. Adesso una preghiera: dopo vent’anni che il cavaliere ha avuto gli onori della cronaca, adesso che è sceso di cavallo ed è diventato un comune mortale, per favore, facciamo finita di ricordarlo. Diciamo basta! Gli italiani non ne possono più di sentire le accuse, le critiche e le risposte, le difese a tante prese di posizione nei confronti del governo e dei rispettivi ministri. Voltiamo pagina e facciamo qualche considerazione che è bene tener presente. Oggi è una giornata amara non solo per Berlusconi che esce di scena in maniera non consona a quanto ha fatto per il paese, ma è anche una giornata in cui la politica non può affatto dichiarare vittoria. Nessuno scende in piazza perché è caduto l’uomo che ha tenuto in mano per tutto questo periodo le sorti del nostro Paese. La politica è la prima sconfitta da questa operazione tecnica. C’è solo da augurarsi che questo governo tecnico duri il meno possibile e che la politica ritorni di nuovo a avere il suo ruolo principe. D’accordo. Avevamo bisogno di una figura di spicco in Europa che desse le garanzie giuste per far camminare l’economia che messa sotto sforzo estremo. Monti lo è. E’  ritornato di nuovo a salire al governo della nazione il professore, il tecnico, quello che ha già “salvato” l’economia e l’euro quando ha ricpoerto delicati incarichi a Bruxelles.

Ma è anche il popolo è il grande sconfitto in quanto si trova a diver fare i conti con un esecutivo che non è stato garantito dalla sua sovranità. Il rischio di considerare il popolo esautorato c’è ed è reale. Occorre prenderne atto. Se giustifichiamo il tutto come una terapia necessario per scongiurare il collasso al nostro Paese, la tolleriamo. Ma sia ben chiaro che occorre che la politica si riappropri della sue stanze. Va bene, il linguaggio colorito del cavaliere ci era venuto davvero a noia. Le sue corna davanti ai fotografi quando era schierato con altri capi di stato europei sono davvero pochi ad avergliele perdonate. Il suo vociferare e il gridare il nome di Barack Obama di fronte alla Regina d’Inghilterra è un atto scortese che rievoca sopite antipatie mai digerite. Le sue battute sulle belle donne, lasciamole ai camionisti nei bar e nei grill d’autostrada. Adesso bisogna pensare in altra maniera ed agire di conseguenza.

Pensiamo a fare cultura e non spettacolo; pensiamo ai confronti e non agli insulti e ai dileggi degli avversari. Ritorni la ragione a impossessarsi dell’agone pubblico Finisce un certo tipo di politica giustizialista e per certi versi provocatoria, adesso giriamo pagina e pensiamo alle prossime elezioni.

 

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