L’Italia in corteo per ricordare i senegalesi uccisi a Firenze. Note a margine

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Si dice che siamo una società multirazziale. Così si definisce l’Europa, questa unione di stati sovrani così lontani da essere un’entità unica, un solo soggetto governato da un parlamento e diretto da un’unica moneta. Che abbiamo oramai superato il concetto secondo cui l’appartenenza alla razza bianca significa garanzia di comando, di essere padroni del mondo e che quindi gli altri debbano soccombere e stare ai nostri ordini. Gli eletti, i predestinati, e gli infimi, gli ultimi. Gli iloti. Si riteneva che simili concetti fossero superati e rimasti ancorati al Novecento , invece, dobbiamo ricrederci perché, quando meno te l’aspetti, il tarlo esce di nuovo fuori e impazza per le strade e per i posti più impensati, nelle moderne metropoli, nelle emancipate città nel nord. La mala pianta è lì, sempre presente. Come il fuoco che cova sotto la cenere. Non ce ne saremo accorti della sua presenza, se essa non si sposasse con la violenza. E come del resto non pensare alla notizia, se essa non si colora di morte e parla di omicidio? Meglio ancora se sono dei pluriomicidi, come è successo recentemente a Firenze, con  quei poveri senegalesi freddati da una  pistola calibro magnum, tipo ispettore Callaghan, di memoria cinematografica.

Giustizia da sé, per proprio conto. Pulizia razziale fatta a casa, con i propri mezzi. E il tarlo non è vero che si trova soltanto nella vecchia Europa, ma è anche al di là dell’Atlantico, nella modernissima New York. E’ cronaca di oggi l’atto compiuto contro una donna di 64 anni aggredita e bruciata viva in un ascensore. Come per dire che il pianeta è come se fosse una città unica, sebbene globale. La mala pianta del razzismo è presente e bisogna anche saperla estirpare, per evitare il ripetersi di fatti così esecrabili. Ma è la reazione della gente il fatto che dobbiamo seguire. Si è visto coma la città di Firenze, e poi di riflesso anche nelle altre principali città della Toscana, abbia reagito con dimostrazioni, cortei all’evento, dimostrando (con i fatti) da che parte essa stava e si metteva. Condanna decisa alla violenza, e porte aperte alla convivenza razziale.

Fra tutti i commenti che ho seguito alla televisione, mi è piaciuto quello di un ragazzo dal nome impossibile che ha detto di essere venuto in Italia, di aver cercato lavoro, di essersi deciso a fare anche i lavori più umili, di pagare le tasse regolarmente, di essere insomma un cittadino come si deve e di aver diritto  a tutto quello che prevede la legge per i suoi residenti. E non ho potuto fare a meno di pensare che situazioni del genere erano state vissute precedentemente da miei connazionali quando emigravano in Belgio o Germania e Svizzera, se non addirittura nel Continente Nuovo e Nuovissimo. Hanno diritto alla proprio dignità anche questi lavoratori, ai quali si chiede di pagare gli stessi obblighi, le medesime tasse che versano un italiano doc. Anche loro hanno diritto al loro spazio, e non bisogna contrastarlo con una magnum.

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