Londra – Come l’acqua in uno dei romanzi di Andrea Camilleri, anche la luce non ha una forma propria ma assume quella del ‘recipiente’ che la contiene.
In particolare, un qualsiasi stato quantistico della luce non è altro che una maniera specifica di occupare questo ‘contenitore vuoto’, il cosiddetto ‘modo’, che descrive la forma spaziale e temporale del campo elettromagnetico.
Ricercatori dell’Istituto nazionale di ottica del Consiglio nazionale delle ricerche di Sesto Fiorentino (Ino-Cnr), guidati da Marco Bellini e Alessandro Zavatta, hanno dimostrato una tecnica che unisce per la prima volta concetti dell’ottica quantistica e di quella ultraveloce, per misurare e analizzare la forma di stati quantistici luminosi della durata di poche decine di femtosecondi. La ricerca è in corso di pubblicazione su Physical Review Letters.
“Per esempio, un singolo fotone, che corrisponde al riempimento del ‘contenitore’ con un solo quanto di eccitazione, può assumere infinite forme diverse a seconda del modo che occupa”, afferma Marco Bellini, responsabile del gruppo Ino-Cnr che ha svolto la ricerca, “e la maggior parte delle possibili applicazioni delle proprietà quantistiche della luce a nuove tecnologie quali comunicazione, computazione o metrologia quantistica dipende dalla perfetta conoscenza di tale forma”.
Se non si possiede tale conoscenza, manipolare, rivelare e utilizzare gli stati quantistici di luce diventa poco efficiente o addirittura impossibile.
“Il nostro team di ricerca ha mostrato come copiare fedelmente il modo temporale di un fotone ultracorto su quello di un impulso luminoso classico, così da poterlo misurare in dettaglio con tecniche standard”, continua Bellini.
“Per farlo, abbiamo utilizzato un algoritmo genetico, cioè una procedura sperimentale che fa ‘evolvere’ per mutazioni e riproduzioni un gruppo casuale, affinché si adatti alle condizioni ambientali attraverso generazioni successive”.
Oltre ad aver ricostruito le strutture temporali di singoli fotoni variamente deformati, i ricercatori Ino-Cnr hanno anche dimostrato come utilizzare questa capacità per nuovi schemi di codifica dell’informazione quantistica. “La tecnica consente di misurare il singolo fotone anche quando assume simultaneamente più forme distinte”, aggiunge il ricercatore.
“Se si assegnano alle varie forme assumibili dal fotone le diverse lettere dell’alfabeto, saremo poi in grado di leggere non soltanto tali lettere, ma anche tutte le loro sovrapposizioni quantistiche. La possibilità di utilizzare un alfabeto composto da molte lettere e dalle loro sovrapposizioni coerenti, per la comunicazione quantistica, offrirebbe enormi vantaggi rispetto agli schemi standard di codifica basati su ‘qubit’, cioè su un ‘alfabeto’ con due soli possibili stati di polarizzazione della luce. Questi risultati aprono quindi interessanti prospettive sia di tipo fondamentale, per una migliore comprensione e analisi del comportamento quantistico della luce, sia applicative, in tecnologie quantistiche sempre più sicure, efficienti e innovative”.