Il protagonista di questo intenso saggio in forma di narrazione si aggira sgomento per le strade di una città che vorrebbe amare, che nella sua storia è stata anche amabile, ma che nell’oggi sembra soltanto respingere: Milano. In questo peregrinare la realtà contemporanea dischiude il suo passato e Milano diventa il centro concreto e insieme emblematico di un cupo trascorrer di tempi. La città lucente di acque magnificata da Bonvesin da la Riva si trasforma nella “città degli untori” e dalla peste rimane contagiata per sempre: dalle stanze di tortura per Giangiacomo Mora e Guglielmo Piazza alle stanze di Villa Triste, dove i fascisti infierivano sui loro prigionieri, un susseguirsi ininterrotto di oscene violenze connota la storia di Milano fino a Piazza Fontana e agli anni del terrorismo e dei servizi segreti infedeli. Alla violenza si accompagnano poi la decadenza della borghesia, parallela alla drammatica e quasi repentina fine della classe operaia, il tramonto del cattolicesimo democratico, che pure a Milano aveva radici profonde fin dagli anni del modernismo, e – nuova peste – la corruzione. Allora la peste, nella sua realtà storica (quella raccontata dal Manzoni nei “Promessi sposi”) e nella sua valenza simbolica di morbo morale, che avvelena la vita delle persone e delle cose, diventa la chiave di lettura che attraverso stratificazioni storiche e metamorfosi di costume può cogliere una lunga durata di vergogna e sofferenza.
“La città degli untori”, di Corrado Stajano (Ed. Garzanti, pp. 256, euro 16,60).