La storia della politica italiana ha chiuso un capitolo

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L’era berlusconiana è arrivata al capolinea. La scritta “fine” sulla pellicola del film l’hanno messa i giudici della Corte di Cassazione e temo che non si possa far niente in proposito. A questo punto non credo neppure che valga la teoria del complotto, del “fumus persecutionis” di adreottiana memoria. Dell’accanimento giudiziario nei confronti di taluno o di una tale classe politica per metterla fuori gioco. Questa volta il discorso è più serio e ha, come scena teatrale, l’intero Bel Paese. Dopo vent’anni di politica di Arcore è giunto il momento di chiudere il capitolo e andare avanti. Ho molto rispetto per Silvio Berlusconi, e non mi sento di mettermi insieme a coloro che in questo momento, come avvenne per Craxi, lo aspettarono mentre usciva dalla vettura per tirargli addosso i più pensabili vituperi, improperi e monetine. Come Italiani dobbiamo essere grati a lui, per quello che di buono ha rappresentato per il Paese, cercando di snellire e svecchiare questa politica e questa vita amministrativa fatta troppo dai burocrati che amano prima di tutto la loro poltrona di comando e il loro scranno in Parlamento. Ma, come si ha avuto modo di constatare, la vita va avanti e adesso c’è bisogno di prendere le misure più felici, per dare al nostro Paese quei segnali di ripresa economica che eppure si comincia a vedere. Mi metto anche nei panni di coloro che da sempre hanno votato il Cavaliere e capisco la loro frustrazione e la comprendo. Però bisogna anche essere disposti a sviscerare le cose dalla passione e vederle con un giusto e sano realismo. Tre livelli di giudizio sullo stesso processo sono avvero tanti; e se c’è, come appare evidente dalle decisione dei giudizi, una responsabilità diretta dell’uomo, è bene che se ne subisca le conseguenze, senza drammatizzare, senza estremizzare e richiamare alla raccolta falangi di proseliti (si preannuncia per domani una dimostrazione di piazza) che adesso che il vento è cambiato si ridurranno ulteriormente. Sì perché questo momento, e considerando pure la personalità dell’uomo e la sua vitalità anche in senso sessuale, mi ha fatto venir in mente l’ultimo (prima del muretto di Dongo) periodo di Mussolini, compreso il discorso che fece al Lirico di Milano. Occorre prenderne atto che un clima è arrivato alla stazione di fermata e che tutto adesso dovrà riprendere e andare avanti. Ma lasciatemelo dire, era anche giusto che si ritornasse alla politica ragionata e non agli insulti, e non alle offese, alle corna fatte nei confronti degli avversari e alla cultura così impoverita, ai mass media ridotti e concentrati sulle formose e generose curve delle ultime starlette. Facciamo le cose che contano. Non discutiamo di processi di Ruby e di festini, ma apriamo le finestre e affrontiamo il dramma degli operai messi in cassa integrazione, la chiusura degli stabilimenti di Piombino e anche di riforme. Parliamo di riforme. E’ vero, qualcuno dirà ma è da secoli che pronunciamo questa formula e non si vede niente: sì –rispondo- è vero, perché addossiamo e scarichiamo la colpa su altri senza afferrare il toro per le corna e decidersi a farle queste benedette riforme. Vi siete mai accorti o avete mai sentito le risposte di parlamentari, quando si affronta l’argomento? Sì – dicono – noi eravamo pronti, poi ci si sono essi di mezzo gli altri e la proposta di legge è ferma in Parlamento. La politica dello scaricabarile. E’ tempo di vendemmia questo: l’uva sta maturando sui tralci ed è bene per l’Italia e per noi stessi di pensare a raccoglierla per vedere una buona e prosperosa vendemmia.

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