«Mi hanno detto: sono passati molti anni dall’epoca dei fatti, potresti anche perdonarli. Ma come faccio a perdonarli? Davvero non ci riesco». Sebastiano Demuro era un giovane agente di polizia penitenziaria di 25 anni, sbarcato all’Elba dalla Sardegna. È stato nel gruppo degli ostaggi alla mercé dei rivoltosi che, vista fallire l’evasione dal carcere, si chiusero nell’infermeria dell’istituto.
Difficile (anzi impossibile) dimenticarsi della canna della pistola puntata sulla tempia e sentire l’urlo dei detenuti che gridavano: «Ora vi ammazziamo tutti: cominciamo da te!». E sudare freddo, mentre ti passavano dalla mente immagini della tua vita: una moglie che ti aspetta a casa, una figlia di due anni appena, e sentire il clic del grilletto e il colpo a vuoto. «Non ci hanno detto che avevano scaricato l’arma – racconta Demuro – Non lo potevamo sapere. Ma in quel momento ho davvero pensato che per me fosse finita».