Flat tax: perché il regime forfettario per le partite Iva potrebbe creare “un grosso giro di nero”

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La cosiddetta “flat tax” per le partite Iva, o meglio, il nuovo regime forfettario che prevede una tassa fissa del 15% per tutti i lavoratori autonomi che guadagnano fino a 65mila euro l’anno, potrebbe generare nel Paese un “grosso giro di nero” tanto che la norma è stata definita “un’istigazione all’evasione”.

Le partite Iva “non avranno il minimo interesse a farsi fare fattura”

Qual è il problema del regime forfettario contenuto nella legge di bilancio approvata a dicembre? Perché semplificare la vita a professionisti, imprenditori o piccoli artigiani, che al nord compongono zoccolo duro dell’elettorato leghista, potrebbe causare un danno erariale allo Stato? Ce lo spiegano direttemente gli economisti e i liberi professionisti contattati.

La ragione principale è che con il regime forfettario nessun costo è più deducibile. Si paga una sola tassa fissa a prescindere dalle spese professionali ma bisogna stare attenti a non sforare quota 65mila euro. Un esempio concreto: se un geometra a partita Iva si recava in cartoleria per acquistare prodotti di cancelleria, era suo interesse farsi rilasciare fattura dal commerciante così da poter “scaricare” i costi. Con il nuovo regime, invece, non riceverà più alcun rimborso dallo Stato per l’aquisto dei beni necessari alla professione.

Questi sono i principali effetti distorsivi che si generano:

  • Nonostante l’obbligo di legge, che interesse avranno i liberi professionisti a farsi rilasciare fattura se non possono scaricarla? Potrebbero aumentare i fenomeni di evasione che coinvolgono anche i “fornitori”: caro esercente, non mi serve la fattura, mi fai uno “sconto”?
  • Come scrive Il Sole 24 Ore, chi già guadagna 65mila euro l’anno non ha alcuna convenienza a incassarne ulteriori 10mila perché si vedrebbe costretto a pagare quasi 11mila euro di imposte in più: questo rischia di costituire un incentivo al frazionamento (elusivo) dei ricavi con spostamenti dei fatturati da un anno all’altro per non superare la soglia;
  • Nel peggiore dei casi, raggiunta quota 65mila euro, ulteriori guadagni potrebbero essere percepiti “in nero”;
  • In assenza di altri redditi tassati a Irpef, chi si avvale del regime forfettario non avrà più interesse a farsi fatturare neanche le spese personali come per esempio i lavori di ristrutturazione in casa: non saranno deducibili dal proprio reddito personale. Quale allora la convenienza nel richiedere all’artigiano che incarichiamo dei lavori di emettere regolare fattura?
  • Lavoratori dipendenti potrebbero trovare più conveniente “mettersi in proprio”, aprendosi una partita Iva, salvo poi continuare ad intrattenere un rapporto di lavoro “cammuffato” da autonomo con il proprio ex datore di lavoro (prima risultava d’ostacolo al forfettario la detenzione, nell’anno precedente, di un reddito da lavoro dipendente superiore a 30mila euro; dal 2019 questa ipotesi scompare, sostituita da un nuovo presupposto: non esercitare la propria attività “prevalentemente” nei confronti di colui che è stato il vecchio datore di lavoro).

Una “istigazione all’evasione” che potrebbe far scattare una clausula di salvaguardia

Mario Cuchel, presidente dell’Associazione Nazionale Commercialisti, non ha mezzi termini per definire l’innalzamento per i forfettari (da 30mila euro a 65mila euro) che non tiene più in conto della necessità di certificare i costi operativi: la chiama “istigazione all’evasione”.

“La paura è che si crei un grosso giro di nero”, dice a Euronews. “Professionisti ma anche imprese, artigiani, commercianti non avranno il minimo interesse a farsi fare le fatture, dalla sfera professionale a quella privata. Si tratta della tempesta perfetta per arrivare a fare più nero”.

Cuchel propone di tornare a determinare il reddito “in maniera analitica, ovvero ricavi meno costi, non in maniera forfettaria. Non solo. Bisognerebbe fare come in Portogallo dove hanno introdotto la fattura elettronica facoltativa: come incentivo, chi la richiede potrà detrarla dal proprio reddito a prescindere dall’acquisto fatto”.

Gli effetti sull’economia italiana sono difficilmente quantificabili anche da parte di chi lo fa di mestiere come l’Osservatorio dei Conti Pubblici Italiani della Cattolica. “Si tratta di un calcolo molto aleatorio”, fa notare a Euronews il suo vicedirettore, Giampaolo Galli. “Pensiamo, come i sindacati, che sia giusto offrire tipologie di contratto più o meno flessibili, ma qui bisognava ridurre il peso fiscale sul lavoro dipendente a tempo indeterminato, non sulle partite Iva”.

“Tutti i sistemi fiscali”, aggiunge l’economista, “fanno in modo da evitare grandi scalini. Non deve essere possibile che aumentando il reddito lordo si diminuisca il reddito netto. Qui non c’è uno scalino ma uno gradone, soprattutto se passo a 75mila euro o 101mila euro di reddito. Quando si crea un gradone così grosso, l’incentivo a rientrare nei 65mila euro non facendo fatture o rimandandole all’anno prossimo è fortissimo. Non abbiamo visto nulla del genere in Europa”.

È stato calcolato che un professionista autonomo con un reddito di 64 mila euro l’anno pagherà in tasse circa 10 mila euro in meno rispetto a un dipendente che guadagna la stessa cifra.

Secondo Galli bisognerà aspettare almeno fino a maggio/giugno 2020 per studiare i primi effetti di questa norma sull’economia italiana. Il rischio, tuttavia, “è che ci saranno minori entrate rispetto a quelle attese da preventivo. La UE ci ha chiesto di monitorare strettamente le finanze pubbliche per eventuali manovre correttive: è possibile che questo possa essere un elemento che faccia scattare una delle clausule di salvaguardia”.

Un provvedimento che aiuta le fasce di età più elevate, non certo i giovani

Flavia Pasquini, giuslavorista e ricercatrice senior di Adapt, fornisce un ulteriore elemento di riflessione distinguendo le partite iva. “I giovani che sono obbligati a iscriversi a un ordine per firmare, come commercialisti, avvocati, ingegneri, spesso lavorano in monocommittenza nei primi anni di attività. Sono de facto alle dipendenze di un soggetto che li obbliga a aprirsi la partita Iva ma fondamentalmente sono subordinati. Hanno redditi molto più bassi rispetto ai 65mila euro, anche prima rimanevano sotto i 30mila, quindi per loro non cambia nulla”.

“Quella dei giovani professionisti non tutelati è una piaga, forse si tratta di quelle fasce più deboli che andavano tutelate”.

Tutto va invece in favore di “chi ha iniziato un po’ prima ed è riuscito a mettere insieme un regime di pluricommittenza. Professionisti che possono mettere d’accordo con le committenze per rimanere nel regime forfettario”. C’è poi il discorso dei pensionati che “usano questo strumento per continuare a lavorare con l’azienda per cui lavoravano prima: anche per loro è una buona notiza”.

Per le statistiche, tutte queste partite Iva sono uguali, ma analizzando meglio “la situazione per gli uni e per gli altri è molto diversa”, conclude Pasquini.

In breve: il nuovo forfettario “è provvedimento che aiuta le fasce di età più elevate ma non i giovani, peraltro senza rappresentanza sindacale, che da poco hanno dovuto aprirsi la partita Iva e vengono trattati da subordinati senza tutela”.

Un impatto ridotto? Chi vuole evadere la dichiarazione non la fa proprio

Il prof. Enrico Giovannini, che presiede la Commissione del MEF che pubblica la “Relazione sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva“, puntualizza che non è stata effettuata una valutazione del singolo provvedimento legislativo.

La relazione calcola il mancato gettito legato alla presentazione delle dichiarazioni e quello per omesso versamento, la “vera evasione”: chi non fa proprio la dichiarazione, infatti, ha il chiaro obiettivo di evadere, mentre gli omessi pagamenti possono indicare una situazione di difficoltà temporanea.

Ebbene, gli omessi pagamenti sono “una piccola quantità” rispetto alla vera evasione, afferma Giovannini. “La media della propensione al gap, negli anni 2011-2016, è risultata pari al 33,2%, di cui 28,1% derivante da omessa dichiarazione e il 5,1% dovuto ai mancati versamenti ed errori”, si legge nel documento.

Non solo. “L’Irpef dei professionisti è una componente con un tax gap già molto alto”, conclude Giannini. Quando si parla di evasione dell’Iva, infine, il professore della Luiss invita a considerare tutta la filiera: “Tutti i fenomeni che rendono più facile la trasmissione lungo la filiera hanno un effetto che va al di là della singola fattura non dichiarata”.

Un “vero tentativo di semplificazione: grossolano, ma drastico, reale e coraggioso”

Marino Longoni, condirettore di ItaliaOggi, fa giustamente notare che la categoria dei minimi/forfettari è molto più conveniente sia dal punto di vista della semplificazione contabile sia da quello del carico tributario. I lavoratori dipendenti da noi consultati per questo articolo concordano e si dichiarano soddisfatti della misura.

Secondo il giornalista e fiscalista, i contribuenti potrebbero sì “dimenticare” qualche migliaia di euro di fatture: il gioco vale la candela“.

“Si tratta dell’unico vero e serio tentativo di semplificazione fiscale negli ultimi 20 anni”, i cui effetti collaterali “sono prevedibili e testimoniano come, rispetto a Visco e Bersani, non è più la lotta all’evasione la priorità di questo governo”, analizza Longoni ai microfoni di Euronews.

La norma è “grossolana finché si vuole, pone grossi problemi di equità e di concorrenza sleale, ma è drastica, reale e coraggiosa”.

“Tra le partite iva che hanno interesse a beneficiarne c’è parecchio entusiasmo: non avranno nessuna necessità di cercarsi spese fittizie. Certo, gli introiti potrebbero essere minori rispetto all’evaso, ma siamo già al limite: continare a battere su questo tasto significa non capire che gli unici che stanno bene in italia sono i dipendenti pubblici. Il limone è talmente spremuto che non ne può più: magari così si dà più vitalità all’economia”.

Secondo i dati dell’Agenzia delle entrate, scrive Italia Oggi, le imprese individuali con ricavi inferiori a 65 mila euro sono oltre il 65% del totale, per i professionisti si arriva addirittura al 75%.

Contattati da Euronews per un commento in merito, gli economisti della Lega, Claudio Borghi Aquilini e Armando Siri, proponente della “flat tax”, non hanno risposto.

 

 

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