In caso di rottura del matrimonio, il giudice chiamato a decidere sull’assegnazione dell’abitazione familiare deve tenere conto in primis dell’interesse dei figli. Solo in secondo luogo, infatti, il magistrato potrà verificare la forza economica dei singoli coniugi e il titolo di proprietà dell’immobile (Art. 337 sexies cod. civ.)
Per tale motivo, il sacrificio del coniuge proprietario dell’immobile adibito ad abitazione familiare è ammesso solo a condizione che i figli minorenni, o non economicamente autosufficienti, debbano vivere stabilmente con l’altro coniuge.
Succede che altre persone, all’infuori dei coniugi, possano rivendicare un diritto sulla casa familiare, tale da mettere in pericolo l’assegnazione del giudice, posta a tutela dei figli.
Per tale ragione, il legislatore prevede una forma di pubblicità, detta trascrizione, che serve a rendere opponibile ai terzi l’esistenza di tale vincolo sull’immobile. Infatti, dopo aver trascritto questo provvedimento presso i registri immobiliari, i terzi vengono a conoscenza dell’esistenza di questo provvedimento e, così, l’interesse maggiore mostrato dal legislatore a salvaguardia della famiglia sospende il diritto vantato da altre persone su quell’immobile.
La giurisprudenza ha stabilito i casi principali per cui il terzo interessato (Cass. civ. n.772/2018 del 15.01.2018.), o anche il coniuge non assegnatario, possano ottenere la revoca del provvedimento di assegnazione:
> la morte del beneficiario dell’assegnazione;
> il compimento della maggiore età dei figli o il conseguimento da parte degli stessi della indipendenza economica:
> il trasferimento del figlio maggiorenne;
> il passaggio a nuove nozze oppure la convivenza more uxorio del genitore assegnatario;
> la mancata utilizzazione della casa da parte dell’assegnatario, sempre previa valutazione dell’interesse prioritario dei figli.
Sintesi dell’articolo pubblicato sul sito laleggepertutti.it redatto dall’Avv. Salvatore Cirilla