Il programma di Ursula von der Leyen
Qualcuno ha suggerito di chiamare il nuovo esecutivo che (forse) nascerà come governo “Ursula”, perché sostenuto dai partiti italiani che hanno votato a favore del nuovo presidente della Commissione europea (cioè Pd e M5s), escludendo gli altri (cioè soprattutto la Lega).
Sia che l’appellativo sia inteso in senso celebrativo o spregiativo, ci sono certamente molti aspetti nel programma presentato da Ursula von der Leyen che sarebbero vantaggiosi per il nostro paese. Ma non è solo una questione di aspirazioni. C’è anche una congiuntura particolarmente favorevole perché alcune delle riforme proposte in quel programma siano effettivamente attuate. Un governo italiano non pregiudizialmente ostile al progetto europeo potrebbe dare un contributo importante perché questo avvenga, a vantaggio proprio e della stessa Unione.
Il primo aspetto concerne il rallentamento in corso dell’economia dell’area euro, che colpisce prevalentemente la manifattura tedesca e di conseguenza i paesi i cui apparati industriali sono a essa più connessi, a cominciare dal nostro. All’origine ci sono le tensioni sul commercio internazionale indotte dalle sanzioni del presidente americano verso vari paesi. L’indicazione principale che molti osservatori ne ricavano è che il modello di crescita basato sull’export a cui è tradizionalmente legata la Germania non sia più conveniente e che comunque non sia praticabile da un’area delle dimensioni della zona euro. Ciò la rende troppo dipendente dalla domanda estera per la propria crescita e gli elevati avanzi commerciali ne fanno un obiettivo ovvio per i rigurgiti protezionistici in atto. È dunque necessario rilanciare la domanda interna, a cominciare dagli investimenti pubblici, anche per recuperare lo svantaggio tecnologico nel campo dell’economia digitale accumulato dall’industria europea nei confronti di Usa e Cina. Le diffuse critiche interne allo Schwarze Null (l’obiettivo di un bilancio pubblico sempre in pareggio come cardine della politica economica), impensabili fino a poco tempo fa, riflettono il mutato atteggiamento di parti dell’opinione pubblica tedesca.
E non si tratta solo della Germania. Poiché alcuni degli investimenti necessari hanno ovviamente una dimensione europea (ambiente, infrastrutture, nuove tecnologiche), ne traggono vantaggio le posizioni dei paesi – come la Francia – favorevoli a un’espansione del bilancio europeo in questa direzione. Il nuovo “budgetary instrument” per la convergenza e la crescita dei paesi dell’euro, ancora non definito nelle finalità e nelle dimensioni, potrebbe essere uno dei canali attraverso il quale alcuni di questi propositi prendono corpo.
Il secondo aspetto, legato al primo, è rappresentato dai limiti della politica monetaria. Di fronte a segnali sempre più forti di rallentamento dell’economia dell’area e della dinamica dei prezzi, la Banca centrale europea si dichiara pronta a intervenire utilizzando tutti gli strumenti a disposizione, anche riattivando, se necessario, il programma di acquisto diretto di titoli. Ma in una situazione in cui i tassi di interesse sono già pesantemente negativi, i limiti della politica monetaria nel sostenere l’economia dell’area sono sempre più evidenti. Di qui le richieste avanzate da Mario Draghi e più di recente e con più forza da Christine Lagarde perché ci sia anche un ruolo più attivo della politica fiscale dei paesi membri nel sostenere il ciclo.
Questo spiega in parte anche il riemergere del dibattito sulla necessità di rivedere le regole fiscali europee, su cui la neo-eletta presidente della Commissione sembra volersi impegnare nel suo primo anno di governo. Nella misura in cui queste regole sono di impedimento a una politica fiscale controciclica (per esempio, perché legate a indicatori economici non osservabili) o alla crescita economica (per esempio, perché non distinguono sufficientemente tra spesa corrente e spesa di investimento) dovrebbero essere riformate.
Cosa dovrebbe fare l’Italia
Si tratta di sviluppi potenzialmente favorevoli al nostro paese. Un governo “Ursula” dovrebbe sostenerli in più modi, non solo attivandosi direttamente in sede europea, ma anche attuando comportamenti interni coerenti. In primo luogo, avendo un atteggiamento responsabile nei confronti del nostro bilancio, rifuggendo da programmi finanziariamente insostenibili. Non solo sarebbe vantaggioso per noi, ma eliminerebbe anche l’alibi dell’irresponsabilità italiana utilizzato dai paesi e dalle forze più conservatrici per frenare le proposte di maggior integrazione europea.
In secondo luogo, sostenendo il più possibile la crescita economica interna, attraverso interventi mirati. I due obiettivi non sono tra di loro incompatibili. Come ha già notato Francesco Daveri, il semplice ridursi della prospettive di uscita dall’euro consente all’Italia, nonostante l’elevato debito pubblico, di finanziarsi già a tassi straordinariamente bassi.
Si tratta di un’occasione irrepetibile per ridurre il debito pubblico e riprendere un percorso di crescita.
Massimo Bordignon, da www.lavoce.info