Protestare mano nella mano: una catena umana di disobbedienza civile – un cordone che ha cercato di dipanarsi lungo 170 chilometri di strade costiere, da Tripoli a Tiro attraverso la capitale Beirut – per l’undicesimo giorno di proteste in Libano.
Come nelle jacqueries del passato, la scintilla è stata la decisione del governo di introdurre nuove tasse su tabacchi, benzina e applicazioni di messaggistica, come whatsapp. Ma è la punta dell’iceberg.
Ci sono mobilitazioni in diverse aree del Libano – spiega una manifestante – l’obiettivo della catena umana è quello di comunicare che stiamo davvero camminando insieme, e questa volta siamo uniti”.
Il Libano sull’orlo del collasso economico
Le proteste danno voce alla frustrazione di un Paese che più di altri sta pagando lo scotto della crisi economica: il debito pubblico libanese supera il 150% del PIL . Il 16% dei residenti nella capitale non guadagna nemmeno i 290 euro di salario minimo. E, senza un aumento delle risorse dall’estero, il rischio è quello di una svalutazione o, peggio, il default del debito a breve. Per evitare che i risparmiatori prelevino i loro soldi, le banche sono chiuse da otto giorni. Un pacchetto di riforme di emergenza, annunciato la scorsa settimana dal governo, non è riuscito a disinnescare il dissenso. Le proteste a livello nazionale stanno prendendo di mira una classe politica accusata di abuso di potere per sfruttare le risorse statali a proprio vantaggio.