Ex Ilva, abitanti di Tamburi: “Non si può andare avanti così”

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Gli abitanti di Taranto si sono incatenati per protestare al grido di “non si può andare avanti così”. Chiedono la chiusura della più grande acciaieria d’Europa, l’ex Ilva, che per anni ha inquinato la città. Malattie legate alle emissioni tossiche del sito hanno ucciso circa 7.500 persone. Lo scorso gennaio, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia per non aver protetto i suoi cittadini.

“Si devono vergognare queste persone, che prima ci hanno dato il lavoro, poi hanno tolto la vita ai nostri mariti e ai nostri figli. E perdiamo la casa!”, dichiara ai nostri microfoni una tarantina.

Un futuro incerto per i bambini di Tamburi

Nel rione Tamburi l’inquinamento industriale ha provocato conseguenze sui tumori pediatrici:

  • +54% d’incidenza del tumore infantile, rispetto alla media pugliese
  • +21% di mortalità infantile oltre la media regionale
  • +20% eccesso di mortalità nel primo anno di vita
  • +45% di malattie iniziate in gravidanza.

Stefania Corisi ha già perso marito e padre e teme per il futuro dei suoi figli: “Giocare nel quartiere Tamburi, quando si è bambini, vuol dire toccare con mano veramente quello che non dovresti*, spiega la donna. “Quindi io mi sento responsabile anche dei miei figli, perché io ho deciso di vivere in quel quartiere”.

Crescere in questa terra di nessuno è un’esperienza unica. Grazia Parisi lavora come pediatra qui da oltre 15 anni e ci dice che i bambini capiscono che il loro futuro è incerto: “Il bambino mi chiede: ma dottoressa io vivrò di meno di un bambino che non vive a Taranto? Io ho famiglie decimate, ho famiglie nelle quali, un bambino vede morire zia, nonna, nonno giovani. Mamma o padre, fratelli…”

Gli abitanti di questo rione della città è come se vivessero sotto coprifuoco, specialmente durante i cosiddetti wind days, quando il vento è più forte e il rischio che arrivino sostanze tossiche dalla fabbrica è maggiore.

Con queste condizioni, le autorità dicono loro di rimanere dentro e chiudere le finestre. Lucia Zito vive di fronte all’impianto da 52 anni e non vuole arrendersi. I suoi due fratelli, entrambi lavoratori dello stabilimento, hanno il cancro e tutto quello che fa da anni è pulire la sua casa, per rimuovere la polvere tossica. “Ci dicono di stare con porte e finistre chiuse. Io non l’ho mai fatto”, spiega Lucia. “Le porte e le finestre le ho tenute sempre aperte, perché è impossibile vivere chiusi in casa. La polvere è dappertutto, ho sempre lavorato per tenere la casa pulita. Infatti avevo tutte le unghie spezzate, malate diciamo”.

Non è solo il futuro di circa 8000 posti di lavoro che è a rischio, ma anche la vita dei residenti di Tamburi, che continuano a vivere respirando le polveri metalliche.

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