Libia: “Guerra per procura. Grosso errore politica Ue e italiana del wait and see”

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Situazione sempre più tesa in Libia, con mosse e contromosse da entrambe le fazioni, in attesa dell’assalto decisivo. Il Governo di Accordo Nazionale (Gna) ha inviato rinforzi militari alla periferia sud di Tripoli, per prepararsi all’offensiva da parte dell’esercito di Khalifa Haftar o, per dirla con le parole del generale, alla “battaglia decisiva”. Otto città dell’ovest e del centro del Paese nordafricano, in linea con quanto fatto da Misurata, hanno annunciato la “mobilitazione generale di tutte le forze, per porre fine alla battaglia contro Haftar”. Si tratta di Zliten, Khoms, Msallata, Zawiya, Zintan, Kabaw, Rahaibat e Jamil, che “hanno dichiarato lo Stato di allerta elevata e piena mobilitazione di truppe”. Nel frattempo l’Esercito Nazionale Libico (Lna) del maresciallo della Cirenaica ha lanciato diversi attacchi aerei su alcuni siti di Misurata, tra i quali, pare, anche un centro di stoccaggio di droni di fabbricazione turca. Ed è proprio la Turchia, scesa in campo a difesa di un governo delle Nazioni Unite, a poter essere la pedina che cambierà le carte in tavola.

Ma quali interessi ha Ankara?

L’abbiamo chiesto ad Arturo Varvelli, Senior Research Fellow at ISPI. “La Turchia innanzitutto difende un governo delle Nazioni Unite, quindi sente di avere dalla sua parte il diritto internazionale, per quello che vale in questi contesti e in questo periodo storico. Ma soprattutto difende i propri interessi, che sono di due tipologie differenti: il primo è quello della difesa della fratellanza musulmana, che comunque a Tripoli è una forza politica importante. La seconda tipologia è la difesa dei propri interessi strategici nell’area e abbiamo visto che ciò sostanzialmente si è concretizzato in un accordo tra il governo delle Nazioni Unite di Al Sarraj ed Erdogan stesso, riguardo la delimitazione delle acque territoriali esclusive. Erdogan può, in qualche maniera, beneficiare di questa relazione, estendendo a un’area molto più vasta di quella che sarebbe secondo il diritto internazionale, l’area di esplorazione marittima”.

Al Sarraj, Haftar e “gli altri”

Al Sarraj può contare anche su Qatar e Italia (oltre a Onu e Unione europea), mentre dall’altra parte Haftar ha l’appoggio di Egitto, Emirati e Russia – anche se, per il momento, solo con i mercenari del Wagner Group -. Ancora una volta, quindi, Ankara e Mosca sono in prima linea. Il presidente russo, Vladimir Putin e l’omologo turco, Recep Tayyip Erdogan, questo martedì, nel corso di una conversazione telefonica, “hanno sottolineato la loro disponibilità ad aiutare nella creazione di contatti” tra le parti belligeranti e “hanno espresso sostegno agli sforzi di mediazione delle Nazioni Unite e della Germania, per mettere fine al conflitto armato e riprendere il dialogo di pace”. Risolveranno anche questo conflitto, trovando un’intesa, come hanno fatto in Siria?

“Potrebbe essere una chiave. Non penso, però, che questi due attori siano sufficienti per stabilizzare il Paese. Abbiamo visto che ci sono troppi attori coinvolti attorno alla situazione libica. Le potenze europee possono giocare e avere ancora una voce in capitolo. Ma allo stesso tempo ce l’hanno anche l’Egitto e gli Emirati, che non vanno sottovalutati e che sono stati finora i maggiori sponsor di Haftar, nonostante la presenza di Wagner Group al loro fianco. Quindi questi attori devono essere per forza coinvolti in una più ampia sistemazione di questo Paese. Questo è anche il tentativo che a Berlino vorrebbero compiere la Germania e l’Unione europea. Però, mi pare, che forse siamo già fuori tempo massimo. La questione non è più ormai europea, né italiana, né francese, ma è una questione molto più ampia”.

La (fallimentare) strategia del wait and see

Unione europea che, però, sembra si sia un po’ defilata sulla questione negli ultimi tempi… “E’ stato un grosso errore, è così. In particolare l’Ue e l’Italia hanno scelto una politica di ‘wait and see’, aspettiamo e vediamo cosa succede”, dichiara ai nostri microfoni il ricercatore Ispi. “Chiunque sarà al governo a Tripoli o in Libia in ogni caso dovrà essere nostro amico. E ci siamo in qualche maniera mantenuti in una sorta di neutralità, che però non ha portato particolari risultati. Non siamo riusciti a stabilizzare il Paese e anzi, chi vincerà avrà un debito di riconoscenza nei confronti di chi l’ha supportato. Inoltre l’Ue non era concorde al proprio interno. Francia e Italia, lo sappiamo, sono stati su due fronti diversi della battaglia troppo a lungo, per trovare una mediazione che fosse credibile a livello internazionale e anche verso i contendenti libici”.

L’attuale situazione in Libia

La spartizione territoriale in Libia, dopo mesi di conflitto armato tra le due parti, attualmente è questa: L’Lna si è avvicinato alla “roccaforte” del Gna, la capitale Tripoli e controlla la maggior parte dei giacimenti di petrolio e gas del Paese.

Il rischio è che la fine di questa guerra civile – iniziata ad aprile con la controffensiva del Generale Haftar e che, secondo l’OMS, ha già fatto almeno 1.093 vittime (di cui oltre 100 civili) e quasi 6.000 feriti – sia ancora lontana e che si trasformi piuttosto in un campo di battaglia politico-militare per gli altri attori coinvolti.

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