A due giorni dall’inizio della conferenza di Berlino sulla Libia, in programma il 19 gennaio, continua incessante il lavoro diplomatico perché il vertice porti a una pace duratura dopo la fragile tregua raggiunta tra le parti.
Il fallimento dei colloqui preliminari a Mosca tra il premier riconosciuto dall’Ue e dall’Onu, Fayez al Sarraj, e il suo avversario Khalifa Haftar, comandante dell’Esercito nazionale libico, non è un segnale che fa ben sperare. L’annuncio dell’invio di nuove truppe a sostegno di Al Serraj da parte di Ankara è una nuova minaccia al percorso di pace. Così come la presenza di numerosi mercenari stranieri sul terreno di conflitto.
D’altra parte l’ampia partecipazione all’appuntamento di Berlino è un primo risultato raggiunto.
Chi ci sarà
I rivali al-Sarraj e Haftar hanno confermato entrambi la loro presenza e di voler osservare il cessate il fuoco. “Una buona notizia – ha commentato ieri la cancelliera tedesca Angela Merkel – Questa è una precondizione per un accordo, insieme con il rispetto dell’embargo sulle armi deciso in sede Onu, che purtroppo non viene rispettato”.
Saranno presenti i principali sponsor delle due forze in campo: la Turchia, unico Paese estero ufficialmente coinvolto con un contingente militare, e la Russia, che sostiene Haftar e conta numerosi connazionali fra i mercenari in Libia (ma il presidente Vladimir Putin dichiara che non rappresentano lo Stato).
Ci saranno i vertici dei principali Paesi europei: Germania, Italia, Regno Unito. E la Francia, unica nell’Ue a sostenere Haftar, insieme a Emirati Arabi e Egitto. Il Cairo è stata l’ultima tappa della missione diplomatica del presidente del Consiglio italiano, Giuseppe Conte, in nord-Africa. L’Italia preme per il coinvolgimento di tutti gli attori vicini allo scenario di guerra, anche se per il momento è stata invitata l’Algeria ma non la Tunisia.
Al tavolo siederanno anche gli Stati Uniti, con il segretario di Stato Mike Pompeo e il consigliere per la sicurezza nazionale Robert O’Brien, e la Cina. Se entrambe le nazioni sono membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’Onu, la scelta di Washington potrebbe indicare la volontà di non lasciare campo libero alla Russia anche in nord-Africa, dopo il Medio Oriente.
Pechino è da tempo un attore di peso nel continente africano, dove ha concentrato i suoi investimenti e progetti infrastrutturali. Per la Libia ha messo sul piatto un aumento delle importazioni di petrolio e posti di lavoro nella ricostruzione di un Paese dall’economia disastrata.
Le ipotesi sul tavolo
L’ipotesi che prende corpo è quella di una forza di interposizione europea, sotto egida Onu, per assicurare un cessate il fuoco permanente. Un’ipotesi cui l’Italia ha già assicurato la propria disponibilità, dichiarandosi pronta a impegnare altri uomini in una missione di monitoraggio della pace, oltre a quelli già schierati a Misurata per proteggere l’ospedale e nel porto di Tripoli per assistere la Marina e la guardia costiera.
“È una delle possibilità che contempleremo” a Berlino, ha detto Conte, “ma dobbiamo confrontarci e discutere. Una volta accantonata l’opzione militare, lavorare per portare in Libia un contingente di interposizione e di pace è un’opzione e noi possiamo già dire che siamo disponibili”.
Il premier ha poi condannato la decisione di Ankara, che alla vigilia del vertice annuncia l’invio di nuove truppe “La Libia non ha bisogno di nuovi combattenti – sostiene il premier – ora serve il dialogo, poi una forza di pace dell’Ue”.
L’ombra di Erdoğan
Dall’entrata della Turchia nel conflitto libico con il suo esercito la situazione si è ulteriormente complicata. Recep Tayyip Erdoğan fa pesare le ragioni storiche e politiche del suo intervento nel Paese, ma ci sono anche pesanti interessi economici in campo. Erdoğan ha firmato di recente con al-Serraj un accordo che definisce un’area marittima turco-libica, aprendo così la strada allo sfruttamento delle risorse energetiche nel Mediterraneo orientale. Le intenzioni del sultano erano già state manifestate quando ha schierato le navi militari al largo di Cipro, per impedire l’esplorazione dei giacimenti al largo di Cipro. Una mossa che allarma anche l’Eni e l’Italia.
La Grecia protesta. Il primo ministro Kyriakos Mitsotakis, che ieri ha incontrato il generale Haftar, ha espresso il suo disappunto per l’esclusione dalla Conferenza di Berlino e promesso di porre il veto a qualsiasi soluzione sul Paese nordafricano se l’accordo turco-libico non verrà stracciato.