Manifesto di Assisi, l’economia e la politica si alleano contro la crisi climatica

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Un’economia a misura d’uomo contro la crisi climatica. È il senso del Manifesto di Assisi, documento presentato oggi nella località umbra che ha già raccolto oltre 1700 adesioni. Ad introdurlo nel Salone Papale del Sacro Convento, anche il presidente del Parlamento europeo David Sassoli, che ha sottolineato come sul clima l’Italia debba “allineare sempre di più la propria agenda nazionale con quella europea”. Il premier italiano Giuseppe Conte ha ricordato come da sempre ad Assisi si tuteli l’ambiente e si continui a farlo “per condividere, nel segno di Francesco, un obiettivo fondamentale”, la “nostra ‘casa comune’, il Pianeta”. Ad illustrare i dettagli della proposta, il presidente della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, l’economista Stefano Zamagni. A Vatican News, il prof. Zamagni chiarisce come si tratti di una sfida che richiama il contributo delle migliori energie tecnologiche, istituzionali, politiche, sociali, culturali, assieme a quelle del mondo economico e produttivo e dei cittadini, nella direzione indicata dall’Enciclica Laudato si’ di Papa Francesco.

È un manifesto preparato e sottoscritto da una pluralità di soggetti, tra cui imprenditori, uomini di cultura, espressioni della società civile organizzata, per lanciare un grido d’allarme nel nostro Paese – come hanno fatto altri Paesi nel mondo – e per prendere veramente in seria considerazione la transizione cosiddetta “verde”. L’attuale modello di sviluppo non è più sostenibile. Il primo a gridarlo forte fu Papa Francesco con la Laudato si’. Sono passati quasi 5 anni, qualcosa è stato fatto a livello di coscienza popolare, però ancora quasi nulla è stato fatto a livello strutturale. In questo caso il Manifesto di Assisi rappresenta il seguito all’incoraggiamento del Papa ad agire. Ci si muoverà su diversi piani. Il più importante, il più urgente è quello che riguarda la finanza. Cioè se noi non cambiamo il modo di fare finanza, non ci sarà nulla da fare.

Quale sarà il vostro impulso? Cioè come coinvolgere la finanza e gli altri settori verso un’economia circolare e sostenibile?

Primo: bisogna – direi – “costituzionalizzare” il fatto per cui le grandi banche d’affari devono smettere di concedere credito senza tenere conto dell’uso che chi prende i fondi fa del credito ottenuto. Questo non è più accettabile. La irresponsabilità del sistema bancario nel suo complesso è gravissima. Secondo: bisogna dichiarare che l’ambiente, complessivamente considerato, è un bene comune, non è né un bene privato né un bene pubblico, perché tutt’ora questa confusione di pensiero ci ha impedito di agire. E prendere in considerazione questo mutamento – che non è tanto culturale – avrebbe un impatto enorme sul piano delle leggi. Terzo, bisogna incentivare di più l’acculturazione, perché qualcosa si sta facendo, ma è troppo poco a livello di scuola, università, ricerca scientifica. Bisogna che l’“educazione ecologico-ambientale” entri non tanto come materia ma sia trasversale: in qualunque materia si insegni, dalla storia alla geografia all’italiano alla matematica, gli insegnanti siano chiamati a trasmettere agli allievi questa passione per la natura.

Ci sono segnali che dalla politica ci sia un impegno efficace per contrastare i cambiamenti climatici e la povertà, quindi un impegno a favore del reale sviluppo umano?

I segni ci sono, ma sono molto freddi. La classe politica si muove se a livello di società civile organizzata parte una richiesta. Ecco perché i “Fridays For Future”, i venerdì per l’ambiente, sono importanti. Questa è una iniziativa partita dal basso, dai giovani: il “fenomeno Greta”, che ormai tutti conoscono, li sta mobilitando. Cioè non possiamo pensare che la classe politica, in regimi democratici, possa oltre un certo livello prendere certe iniziative. Siamo noi, sono i soggetti della società civile che devono chiedere con insistenza ai partiti di modificare le loro piattaforme.

Che ruolo avrà l’impegno preso ad Assisi, in vista dell’appuntamento del prossimo marzo voluto dal Papa, “Economy of Francesco”?

Ad Assisi si presenta il Manifesto. Ma dal 26 al 28 marzo si terrà “Economia di Francesco”, questo è il titolo che Papa Francesco ha voluto dare all’evento, primo del genere nella storia della Chiesa. Perché non si era mai visto un Papa convocare un’assise alla quale far partecipare giovani economisti, giovani imprenditori – dove giovane vuol dire al di sotto dei 35 anni – per discutere una tematica di natura prettamente economico-sociale. E questo è già un segno dei tempi, perché al termine di quei quattro giorni di lavori intensi uscirà un documento che avrà la natura di un appello al mondo intero. Perché il Papa ha chiamato i giovani economisti che diventeranno ricercatori, professori, nei prossimi 5-10-20 anni? Una cosa va detta: è stato calcolato recentemente che sulle 50 riviste scientifiche ed economiche negli ultimi vent’anni, dal 2000 ad oggi, solo 11 articoli sono stati dedicati dagli economisti a livello mondiale alla tematica ambientale: 11 su 47 mila articoli! Vuol dire che un’intera professione, quella degli economisti, ha sempre finora sottovalutato, se non addirittura irriso, la problematica ambientale. Ecco allora perché da “Economia di Francesco” ad Assisi uscirà un monito anche in tal senso.

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