“È stato certamente corretto trasferire tutte le funzioni sanitarie svolte dal Ministero della Giustizia al Servizio Sanitario Nazionale, e quindi alle Regioni, per garantire ai detenuti ed agli internati nelle carceri, come dicono la Carta Costituzionale ed una Direttiva europea, la tutela della salute alla pari degli altri individui in stato di libertà e, a circa un anno da tale passaggio, è necessario valutare l’organizzazione della medicina penitenziaria aumentando e riqualificando l’organico degli operatori sanitari e dando loro l’opportunità di svolgere la loro missione in condizioni adeguate”.
Lo ha dichiarato Leopoldo Provenzali (PdL) membro della Commissione sanità, a margine nella discussione in aula su una sua interrogazione all’assessore Rossi nella quale aveva chiesto “quale fosse ad oggi la situazione della medicina penitenziaria in Toscana” e “quali iniziative urgenti fossero state adottate per fronteggiare le criticità del sistema penitenziario toscano e dare piena applicazione al principio costituzionale che riconosce alle persone detenute o internate, alla pari dei cittadini liberi, il diritto alle prestazioni di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione previste nei livelli essenziali ed uniformi di assistenza”.
“La strada da fare” ha aggiunto Provenzali “è ancora lunga. Nelle carceri toscane, e ricordo che in provincia di Livorno abbiamo ben tre istituti, a Livorno, Gorgona e Porto Azzurro, si riscontrano criticità legate soprattutto al sovraffollamento ed i medici e gli infermieri che vi operano spesso non sono sufficienti. La riforma della medicina penitenziaria per essere credibile deve essere realizzata con gli operatori, valorizzandone le competenze e le esperienze specifiche del settore e incentivando la crescita professionale con adeguate specializzazioni”.
“La salute in carcere” ha concluso Provenzali“è una priorità assoluta, un diritto riconosciuto e non un’eventuale concessione. Un diritto che può essere garantito cercando di prevenire i bisogni e le criticità con opportune iniziative di prevenzione e screening. Ma pensare alla salute della popolazione carceraria non significa solo e soltanto prestare cure, ma anche costruire un percorso relazionale tra operatori sanitari e pazienti che possa essere d’aiuto ai detenuti anche al di fuori delle mura del carcere”.