Non amo fare quelle che gli inglesi chiamano prediction, una parola solo apparentemente facile da tradurre in italiano, visto che il significato si colloca da qualche parte tra previsione, profezia e auspicio. Troppo il rischio di cannarla e fare figuracce.
Eppure questa “predizione” è talmente semplice che faccio un’eccezione. L’Italia e il resto del mondo stanno per mettersi in marcia verso un lento ritorno alla normalità. Ci vorranno mesi, i danni da contare saranno tanti e, soprattutto, decine o anche centinaia di migliaia di persone ci lasceranno prematuramente. Ma le cose andranno così. Impossibile ipotizzare scenari diversi.
Fatti
I fatti sono che il CoVid 19 è un virus de puta madre, come direbbero gli spagnofoni.
È contagiosissimo. Ammazza alcuni. Causa danni gravissimi e permanenti ad altri. Si comporta come una comune influenza con altri ancora. Non dà alcun sintomo alla categoria dei più fortunati, assicurandosi però di trasformarli in mezzi di trasporto pubblico per passare da una persona all’altra. Un vero infame ‘sto virus corona. Praticamente tutti i paesi ormai hanno rinunciato all’ambizione di contenerlo, ripiegando sulla strategia di “abbassare il picco” e permettere ai rispettivi servizi sanitari di salvare i salvabili.
È una situazione complessa. Se non si fosse bloccata (e ancora si bloccasse) la vita economica e sociale in tutto il pianeta, ci sarebbe stato un picco ancora peggiore di morti, soprattutto nella popolazione anziana e tra quelli affetti da altre malattie debilitanti (ma anche qualcuno giovane e sano, come purtroppo abbiamo saputo in queste dure giornate).
Eppure, anche il lockdown non è privo di conseguenze. Sicuramente ha conseguenze per la salute fisica e mentale di milioni di persone (bambini compresi) costretti in ambienti angusti per mesi interi. Ma non solo: se decine di migliaia di aziende licenziano e chiudono, e milioni di persone perdono il lavoro, le conseguenze saranno impressionanti anche per loro.
La mente umana ha bisogno di ricette semplici, come sappiamo. Pochi amano la complessità. Per questo si è creata una polarizzazione tra chi invoca la necessità di proseguire la quarantena e chi implora i governi di riaprire le attività economiche. Chi ha ragione?
Ovviamente nessuno e tutt’e due. Ci sono ottime ragioni per sostenere entrambi i punti di vista. Polarizzarsi su questa o quella narrazione porta a litigare e a dividersi, ma la soluzione facile semplicemente non c’è. È una situazione tremenda, poichè qualunque direzione si decide di prendere, qualcuno ci perde. Il calcolo delle vite umane, operazione di per sé legittima, rischia di coprire d’infamia colui che si prenda l’onere di rendere noti ragionamenti così cinici su quanti muoiano per questa o quell’altra decisione intesa a modificare lo status quo.
Sono contento di non essere un politico e di non dover essere io a fare quei calcoli e a prendere quelle decisioni.
E i politici che fanno?
I politici sono esemplari umani interessanti. Per essere buoni amministratori devono essere i primi a fare i calcoli cinici di cui ho detto. Ma al tempo stesso, per prima cosa devono farsi eleggere. Per questo sono anche quelli che più di tutti devono dimostrare empatia e strabiliante sensibilità verso quel popolo che li ha scelti per amministrare. (Sembra una job description tagliata su misura per i sociopatici, ma non divaghiamo).
Ovviamente, nella caccia forsennata al consenso a cui il sistema li obbliga, volenti o nolenti i politici scelgono di cavalcare o l’una o l’altra “soluzione”, con non rari casi di politici populisti che si confondono e cambiano narrazione con cadenza settimanale a seconda dell’umore captato dalle loro antennine demagogiche (vi lascio con la curiosità di capire se parlo di Trump o di Salvini, o della Meloni, o di Di Maio, o di Conte stesso…).
Per il politico riaperturista il coronavirus è poco più di un’influenza e non si può che riaprire per salvare l’interesse delle aziende. Per quello quarantenista anche la difesa di una singola vita umana (specie se quella di un elettore o di elettrice) vince su tutto. Di nuovo: ognuno è portatore di valide ragioni da opporre ai buoni motivi dell’altra parte. Tracciare la linea tra il bene e il male? Non si può: è un gioco mortale.
Cosa farei io se fossi un politico? Lo ammetto: farei quello che si sta già facendo: imporre un lockdown estenuante alla gente con la motivazione (sarebbe scorretto dire con la scusa) di salvare vite umane; attendere che il popolo estenuato esiga la riapertura sotto minaccia dell’impiccagione di premier e ministri sulla pubblica piazza; riaprire (a furor di popolo) cercando di dimostrare che lo si sta facendo con la massima cautela possibile. Fine.
Quando arriveranno puntuali i morti, chi ha preso la decisione potrà dire: noi volevamo tener chiuso, ma il popolo ha deciso diversamente: e chi siamo noi per dire di no al popolo? Non è colpa nostra.
Non è colpa nostra
Alla fine il discorso si riduce tutto a questo. Poter prendere provvedimenti che saranno letali per migliaia di persone dicendo “non è colpa nostra”. Fino ad oggi per i politici è stato facile imporre il lockdown. È bastato dire che ce l’hanno detto gli scienziati, ce l’ha detto l’OMS, ce l’ha detto la protezione civile, e ce l’ha detto l’Europa. Ma qual’autorità potrebbe mai prendersi l’onere di ordinare, o anche solo permettere, una riapertura? Adesso che dal lockdown dobbiamo uscire serve qualcosa di più: serve un “ce l’ha detto il popolo”.
Da un momento all’altro quell’ordine arriverà sufficientemente forte e chiaro. Il tempo passato in questo estenuante confino domestico gioca a sfavore di chi vorrebbe continuare la quarantena a oltranza. I costi di gestione delle attività economiche che non ripartano giocano a favore di chi vuole riaprire tutto il prima possibile.
Eccola quindi la mia predizione: preparatevi alla riapertura, graduale ma neanche troppo del paese. La gente ha fretta di ripartire per motivi che sarebbe scorretto non definire molto validi, mentre il vaccino non ci sarà ancora, anche se i medici capiscono già un po’ di più sull’efficacia dei diversi trattamenti nei diversi stadi dell’infezione. Anche il sistema sanitario è più preparato di prima a fronteggiare la situazione. Questo non è poco. La stragrande maggioranza di noi ce la farà. Qualcuno ci lascerà le penne e ognuno di noi nel buio pregherà di non essere il prossimo. Portate le mascherine, mantenete il distanziamento sociale e lavatevi spesso le mani. Buon primo Maggio.