“Benvenuti a Pupluna”. Se 2.500 anni fa fossero esistiti gli uffici turistici, un viaggiatore sbarcato nel Golfo di Baratti, all’ombra del promontorio a nord di Piombino (Li), avrebbe forse letto un cartello di questo tono. Sempre che sapesse decifrare l’enigmatica lingua degli Etruschi. Pupluna, l’attuale Populonia, era però una città molto speciale, diversa da tutte le altre di questo popolo. Intanto non era un semplice avamposto commerciale, ma l’unica importante città etrusca fondata sul mare: da una parte il porto ben protetto dall’insenatura del golfo; sul promontorio rivolto verso l’isola d’elba l’acropoli, con l’abitato e le capanne dell’aristocrazia che guidava la città-stato; sulle pendici del promontorio e nella piana, le necropoli. Ma quello che avrebbe lasciato a bocca aperta quel viaggiatore sarebbe stato altro: il fumo denso che saliva dalla piana. Lì, a ridosso delle tombe, dal VI secolo a.c. era spuntata e cresciuta una selva di basse ciminiere, fornaci e forge per l’estrazione del ferro da un minerale rosso sangue, l’ematite. Era il quartiere “industriale” di una città. (da “Focus Storia, ottobre)