È stato suo marito a convincerla dell’importanza dell’App Immuni. «È un dovere farlo» insisteva lui quando la vedeva poco convinta. «Mi occupa troppo spazio, non la voglio». Ma Chiara, 44 anni, dipendente di un ufficio pubblico ad Arezzo, alla fine ha ceduto. Aveva quasi dimenticato di avere quella App installata sul telefono quando mercoledì sera alle 21 ha visto apparire sul suo telefonino un sole rosso che le comunicava che quattro giorni prima aveva avuto un contatto con un malato di Covid, senza specificare nè data nè ora.
«Ho ricostruito la giornata “incriminata”: ero stata in ufficio la mattina e a casa il pomeriggio con i bambini».
A quel punto scatta la fase due: capire cosa fare. «Ho seguito le istruzioni della App e la mattina successiva la prima cosa che ho fatto è stato chiamare il medico di famiglia». La risposta del medico è lapidaria: «Mi dispiace, non posso fare niente perché le notifiche di Immuni non hanno alcun valore legale. Quindi non posso fare un certificato medico per farla stare a casa in quarantena in attesa del tampone che sciolga i dubbi. Posso farle un certificato di malattia solo in caso di positività». E nell’attesa? «Nell’attesa, in teoria, può andare a lavorare» si sente rispondere Chiara.
«In teoria avrei potuto farlo, certo, ma non me la sono sentita. E se fossi risultata positiva anche io? Avrei potuto infettare decine di persone, colleghi di lavoro e utenti del mio ufficio. Così, per tutelare tutti, non ho avuto altra possibilità che prendere giorni di ferie nell’attesa del tampone».
Chiara però non si arrende. Mentre comunica al lavoro che non andrà a lavorare per i prossimi giorni, continua a cercare spiegazioni plausibili che non trova. Chiama il numero verde dell’Inps: «Mi dispiace signora, non possiamo fare niente». Non si ferma neppure lì. Chiama l’Asl Toscana sud est che rimanda al numero verde della Regione Toscana: anche qui stessa musica. «Un disco registrato mi dice che prima di me ci sono 38 chiamate — racconta Chiara — ma mi metto lì paziente ad aspettare. Quando finalmente mi rispondono e riesco a spiegare che tutto nasce dalla App Immuni si fanno una risata: ma noi su Immuni non abbiamo informazioni, ci dispiace. Cancelli la App che fa solo confusione».
E io come faccio? si chiede Chiara per l’ennesima volta. La risposta definitiva arriva alla fine di un’intera giornata al telefono: faccia come le pare, tanto nessuno sa cosa deve fare. Riesce anche a procurarsi un indirizzo mail dell’ufficio igiene di Arezzo: «Scrivo fiduciosa spiegando il mio problema ma sto ancora aspettando la risposta».
Nel frattempo riesce a prendere appuntamento per fare un tampone. Non ad Arezzo che non ha appuntamenti liberi ma a Bibbiena. E domenica sera arriva finalmente il risultato: negativo. Alla fine è bene quel che finisce bene, ma Chiara non riesce proprio a passare sopra alla disavventura di questi giorni. Ieri mattina è tornata a lavorare ma pensa a chi si trova ad affrontare le stesse traversie che ha vissuto lei. «È tutto grottesco. La tecnologia dovrebbe aiutare, non ostacolare. Se lo Stato da mesi sta portando avanti una campagna per convincere tutti dell’utilità di questa App, perché c’è questo vuoto? Non si può approfittare del senso di responsabilità dei cittadini e, al contrario, non si può neppure
Senza valore?
❞ Il medico di famiglia mi ha detto: non posso farci nulla, l’alert di Immuni non ha valore legale
fare affidamento solo su quello. Una persona senza la possibilità di prendere giorni di ferie cosa avrebbe fatto, sarebbe andata a lavorare? E se fosse stata positiva? Come è possibile che a distanza di quasi 5 mesi dall’entrata in funzione di Immuni ci sia questo caos ridicolo? Vorrei che chi ci governa si rendesse conto di quello che succede realmente».
Ieri mattina Chiara è ritornata al lavoro. Alla fine, nell’attesa del tampone, ha preso solo tre giorni di ferie. Non è andata malissimo. In alcuni casi ci sono state attese molto più lunghe. Un effetto questa disavventura intanto l’ha prodotto: Chiara ha disinstallato Immuni dal telefonino.