Il pacchetto di ordini esecutivi
Joe Biden ha inaugurato la sua presidenza con un pacchetto di ordini esecutivi che rovesciano diversi dei provvedimenti più controversi dell’amministrazione Trump e indicano la rotta che il neo-presidente intende seguire nei prossimi quattro anni. La tradizione dei primi cento giorni dei presidenti statunitensi ha registrato una conferma e un’accelerazione.
Diverse misure riguardano le politiche migratorie: come Donald Trump aveva voluto lanciare alla nazione un potente messaggio simbolico sugli immigrati indesiderati quale minaccia esiziale, da respingere a ogni costo, così Biden ha risposto cancellando con un tratto di penna i prodotti più odiosi di quella visione ansiogena e spietata. A scanso di equivoci, non ha cancellato i confini nazionali e aperto le porte a tutti coloro che aspirano all’ingresso sul territorio Usa, ma ha rimosso le forzature più controverse delle campagne trumpiane: la separazione dei figli degli immigrati irregolari dai genitori, il bando in blocco contro incolpevoli viaggiatori che avevano la sfortuna di provenire da paesi mussulmani (poveri), il dirottamento di fondi del Pentagono alla costruzione del muro con il Messico, il tentativo di bloccare la regolarizzazione dei figli di immigrati non autorizzati arrivati negli Stati Uniti da minorenni (i cosiddetti Dreamers), la sospensione della minacciata espulsione dei rifugiati liberiani arrivati vent’anni fa a causa della guerra civile.
Anche aspetti apparentemente minori, come il conteggio degli immigrati irregolari nel prossimo censimento, serviranno a prevedere una dotazione più adeguata delle risorse del welfare locale per garantire loro i servizi necessari. Significativo poi l’ordine esecutivo che annulla le minacce di tagli dei fondi federali alle cosiddette “città santuario”, ossia le amministrazioni locali di varie città, tra cui New York, che avevano rifiutato di collaborare con l’amministrazione Trump nella caccia agli immigrati privi di permessi. Cancellata anche la priorità del perseguimento dell’immigrazione non autorizzata da parte delle agenzie federali, a svantaggio di altri compiti istituzionali.
Segnali di svolta
Fin qui, però, l’azione di Biden potrebbe apparire orientata a riportare la barra al centro, riprendendo il filo delle politiche moderatamente liberali dell’amministrazione Obama. Due iniziative configurano invece una vera svolta, un ambizioso disegno riformatore di questioni irrisolte da decenni.
La prima riguarda l’avvio di una revisione del funzionamento dell’eguaglianza razziale in tutte le agenzie e dipartimenti che dipendono dal governo federale, allo scopo di verificare se le politiche in uso svantaggino qualche componente etnica della società statunitense.
La seconda, per ora annunciata, investe il tema spinoso della legalizzazione degli immigrati in condizione irregolare, stimati in undici milioni. Biden non progetta soltanto di concedere loro un permesso di soggiorno, ma di predisporre un percorso che in otto anni li conduca alla cittadinanza. Se riuscirà ad andare fino in fondo, tra Senato in bilico e Corte suprema ostile, risolverà un problema su cui i suoi predecessori si sono sempre impantanati. Mentre nel suo discorso inaugurale annunciava di voler riunificare il paese, il neo-presidente ha affrontato di petto i più ingombranti totem della presidenza Trump: le misure xenofobe che tanto hanno contributo ad assicurargli il consenso della maggioranza degli elettori di origine europea. C’è una morale in questa scelta, che dovrebbe fare scuola anche a casa nostra: i penultimi, i bianchi poveri o ansiosi per il loro futuro, vanno rassicurati su altri piani, combattendo la da pandemia, proteggendo i redditi, rilanciando l’economia. Non assecondando le pulsioni a scaricare sugli ultimi, sui più deboli, ansie e paure, e neppure collocandosi a metà strada, in pericolosi compromessi tra giustizia e xenofobia. Spira aria nuova a Washington. [www.lavoce.info]