Nessun prolungamento dell’anno scolastico
Secondo l’Unesco, da marzo 2020 la scuola italiana è stata chiusa per l’equivalente di 37 settimane. Il numero finale è una ponderazione fra le classi che, dopo il primo lockdown in cui tutte erano a distanza, hanno continuato l’insegnamento in presenza (generalmente le primarie e in parte le medie) e quelle che sono state quasi sempre in Dad (le secondarie di secondo grado).
Dobbiamo aspettare gli esiti dei test Invalsi per cogliere la portata dei danni arrecati a questa generazione, ma è ragionevole ipotizzare serie conseguenze negative sia sul piano degli apprendimenti sia su quello psicologico. Per mitigarle, il presidente del Consiglio, Mario Draghi, aveva proposto che le scuole ritardassero la chiusura estiva e che tutti gli studenti tornassero in aula all’inizio di settembre.
Non andrà così. Sia i docenti sia, più sorprendentemente, i dirigenti scolastici si sono opposti al prolungamento dell’anno scolastico, sostenendo che il personale della scuola sarebbe arrivato a giugno “stremato”. Di conseguenza, il ministero dell’Istruzione ha proposto un intervento (il Piano scuola estate 2021) edulcorato rispetto alle intenzioni di Draghi. Il progetto non è privo di idee su cui ragionare per il futuro, ma se si guarda ai prossimi mesi, per la scelta di destinatari, modalità organizzative e tempi, solleva perplessità.
Il piano estate e l’intervento del terzo settore
Il piano estate ha l’obiettivo dichiarato di realizzare un “ponte” fra questo travagliatissimo anno scolastico e il prossimo, che già sappiamo non sarà per nulla facile. Sono previste tre fasi: quella fino a fine giugno, dedicata a “interventi personalizzati e/o di gruppo, a compensazione di quanto è venuto a mancare” durante l’ultimo anno e mezzo; la seconda a luglio e agosto, con attività di natura più ricreativa, artistica e sportiva; la terza a settembre, di rinforzo delle competenze disciplinari e relazionali, in vista del nuovo anno.
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La dotazione finanziaria non è irrisoria: 510 milioni di euro, di cui 150 da dividere in parti eguali fra tutti gli istituti scolastici (18 mila euro a ciascuno), altri 40 milioni per progetti di ampliamento dell’offerta formativa, mentre la parte più consistente (320 milioni) verrà dai fondi Pon (Piano operativo nazionale), assegnati alle scuole in base a bandi e distribuiti per il 70 per cento al Sud. Una bella cifra, se la prospettiva è di aiutare solo un numero ristretto di studenti in ogni scuola; un po’ meno se – come siamo convinti – ciascuno dei 9 milioni di studenti italiani ha perso qualcosa e avrebbe perciò bisogno di essere aiutato a percorrere questo “ponte” estivo.
Il ministero punta molto sulla collaborazione con il terzo settore, attraverso i “patti educativi territoriali”: da lì arriverà gran parte degli educatori impegnati nelle attività, che per gli insegnanti saranno invece volontarie (e retribuite a parte).
Qui sorgono i problemi, in primo luogo legati alla partecipazione delle scuole. Sono giunte 5.221 candidature ai fondi Pon su 8.183 istituti scolastici statali e Cpia, centri per la formazione degli adulti (più alcune centinaia da scuole paritarie). Non male, ma l’informazione va giudicata con cautela. Intanto, perché comunque manca all’appello il 36 per cento delle scuole italiane, con un picco di oltre il 55 per cento in Sardegna. Inoltre, la domanda doveva essere comunque presentata perché i fondi a cui si accede sono biennali, però non è detto che le scuole inizino le attività prima di settembre, anzi in molti casi pare proprio l’opposto.
Ma la rinuncia delle scuole a intervenire già questa estate è un rischio. Se il piano davvero vuole permettere un recupero almeno parziale di apprendimenti, competenze e relazionalità, le scuole non possono stare ai margini, delegando al terzo settore, allorché si dovrà definire che cosa va fatto, con quali obiettivi, in che modo e per chi.
In secondo luogo, il terzo settore non è presente in forze in tutta Italia. E, laddove è presente, spesso è già impegnato nelle “Estate ragazzi” con le amministrazioni locali. In alcune realtà si rischia un’offerta insufficiente; in altre una sovrapposizione incoerente, che può confondere le famiglie, portandole magari a preferire le esperienze consolidate che si attiveranno al di fuori del piano. Non è un male in sé, ma certo non è un bene per il piano.
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Infine, i tempi per la presentazione del piano a livello di istituzione scolastica erano troppo stretti. Per accedere ai 320 milioni di fondi Pon, la scadenza era il 21 maggio. Quante scuole di quel 36 per cento che manca, magari proprio fra le più bisognose, si saranno chiamate fuori per l’impossibilità di riuscire a definire per tempo una proposta?
I danni della lunga pausa
Se la pandemia ha esasperato in modo drammatico il fenomeno, la ricerca scientifica internazionale ci avverte da anni dei rischi delle perdite di apprendimento, soprattutto per i soggetti più fragili, causate dalle pause scolastiche troppo lunghe. Generalmente quelle dell’estate lo sono, se i calendari concentrano in quei mesi gran parte delle vacanze degli studenti, come in Italia. Gli stessi studi ci dicono che iniziative estive di recupero, consolidamento e potenzialmente sono utili: in particolare, un sistema di tutoraggio individuale, anche a distanza, è un’arma potente contro il ritardo scolastico. Il piano estivo non soddisferà l’obiettivo di Draghi, ma se almeno si riuscisse a trasformarsi in un rimedio permanente contro la perdita di apprendimenti durante l’estate avrebbe comunque assolto un ruolo importante.
Andrea Gavosto e Marco Gioannini, da www.lavoce.info