Per la nostra specie il movimento è indispensabile: l’evoluzione ha fatto dell’uomo un maratoneta, con una grande resistenza fisica.
I safari fotografici, in Africa, possono essere emozionanti. Ma molto più spesso si risolvono in ore di attesa, davanti a un branco di leoni o di zebre che dormono o ruminano. Non parliamo poi delle grandi scimmie, che passano il tempo a sgranocchiare frutta o pescare termiti, se non addirittura a spulciarsi, litigare e scambiarsi opinioni sul vicino. Insomma, non sembra che gli animali si muovano poi così tanto. «Da poco sono arrivato a capire che cosa la pigrizia delle scimmie ci dice sull’evoluzione umana», spiega l’antropologo Herman Pontzer della Duke University in un recente articolo su Scientific American. A differenza degli scimpanzé e dei gorilla infatti la nostra specie, nella media, non sta mai ferma. Si muove, cammina, corre, si agita, dalle palestre occidentali dove sudano gli attori agli altopiani dove corrono kenyoti o boliviani. Perché l’esercizio, il movimento, la corsa sono una parte indispensabile della vita dell’uomo? Perché sono adattamenti che risalgono a milioni di anni fa, che sono forse scritti (in qualche modo) nei nostri geni e sono necessari alla nostra sopravvivenza. Questo è quello che pensa Daniel Lieberman, che insegna biologia evolutiva umana alla Harvard University, negli Usa. Ha appena consegnato le bozze di un libro proprio sull’evoluzione del movimento fisico nell’uomo, e ha scritto numerosi articoli scientifici sull’argomento.
L’idea di Lieberman è però più complessa e la chiama “il paradosso dell’esercizio”: perché, nonostante il nostro corpo sia fatto per correre e i benefici dell’esercizio fisico siano evidenti (vedi articolo seguente), la gente tende a evitarlo e appena possibile si “accascia” sul divano? La risposta è, ancora una volta, nella nostra storia.
Circa 7 milioni di anni fa i nostri lontanissimi antenati si trovarono davanti a una “scelta evolutiva”. L’Africa, infatti, si stava trasformando: la foresta lasciava spazio a una distesa meno fitta di alberi, poi alla savana alberata o addirittura alle grandi distese di erbe che anche oggi caratterizzano nazioni come Tanzania, Kenya, Etiopia e Sudafrica. I nostri antenati, e così molte altre specie animali che abitavano la foresta africana, dovettero quindi “scegliere”: cambiare o estinguersi. Non era certo una scelta conscia; era dettata e diretta solo dalla selezione naturale. Le strutture del corpo, infatti, cambiano nel giro di centinaia di generazioni, senza che nessun individuo “decida” veramente come modificarle.
Marco Ferrari, da “Focus” (Italy)