Anche le vacche soffrono il caldo

0
566

L’intensificarsi della frequenza con cui le ondate di calore colpiscono le nostre latitudini ed in particolare l’Italia ha portato ad un sempre maggiore interesse verso lo studio degli effetti che queste provocano sulla salute dell’uomo e degli animali.
Uno studio recente ha mostrato che negli Stati Uniti le perdite economiche nel settore zootecnico, dovute alle ondate di calore possono essere comprese fra 1.69 e 2.36 miliardi dollari. Alcune stime parlano di un costo economico totale per l’Europa per l’evento 2003 di circa 12 miliardi di Euro, in gran parte dovuto alle perdite in agricoltura, incluso il settore zootecnico, dovute alla siccità e alla lunga ondata di calore verificatasi in quell’anno (da giugno a settembre, con brevi interruzioni), una delle più lunghe ed intense mai verificatesi nel nostro Paese. In particolare, nel campo dell’agricoltura e della zootecnia è noto che le condizioni ambientali, come la concomitanza di alte temperature ed umidità per più giorni consecutivi, possono causare condizioni di stress per gli animali e avere un impatto negativo sulla loro riproduzione, produzione e salute. Nel nostro Paese, in cui il numero di allevamenti di bestiame, sia piccoli che grandi, e’ altissimo ed in cui la industria ad esso associata rappresenta una grossa fetta della economia nazionale, le perdite dovute a condizioni di disagio degli animali possono essere notevoli e, se questo e’ vero per tutti gli animali da allevamento, lo e’ ancor più per le vacche.
L’Istituto di Biometeorologia ha partecipato ad un progetto di ricerca voluto dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, denominato CLIMANIMAL*, i cui risultati finali sono stati illustrati nel corso di un Convegno che si è tenuto oggi a Viterbo, presso il Centro Congressi Pianeta Benessere, nel corso del quale sono state consegnate le targhe di partecipazione agli Allevatori coinvolti.
Il progetto CLIMANIMAL – coordinato dal Dip.to di Scienze Animali della Università della Tuscia e a cui partecipano esperti nel campo della salute, produzione e riproduzione di questi animali quali AIA (associazione Italiana Allevatori) e ANAFI (Associazione Nazionale Allevatori Frisona Italiana) – ha lo scopo di individuare quali sono le zone sul territorio italiano in cui le condizioni termo-igrometriche possono essere rischiose per gli animali, ed in particolare per le vacche, durante la stagione estiva ed individuare eventuali strumenti di gestione delle situazioni di disagio e/o rischio dovuti a fattori climatici.
Per far questo, l’IBIMET ha considerato la combinazione di due grandezze meteorologiche che sono la temperatura e la umidità dell’aria e ha ricostruito l’andamento del cosiddetto indice termoigrometrico o di disagio per 100 stazioni meteorologiche distribuite sul territorio nazionale per i mesi estivi, negli ultimi 30 anni. Nel caso in cui questo indice superi determinati valori di soglia, possiamo avere rischio Nullo, Minimo, Medio o Massimo.
Il territorio italiano risulta quindi suddiviso in aree “bioclimaticamente omogenee’ e ciascuna zona e’ stata assegnata ad una determinata “classe” di appartenenza. Per ciascuna classe quindi e’ stato calcolato il numero di giorni in cui l’indice di disagio nelle estati a partire dal 1971 fino al 2006 incluso ha superato i diversi valori di soglia.
Per le zone in classe elevata, ad esempio, e’ molto elevato il numero di giorni a rischio massimo, mentre le zone in classe bassa (classe 1 o 2) sono caratterizzate da un numero molto basso di giorni a rischio elevato. La pianura Padana, in cui si ha una altissima densità di allevamenti di bestiame e di caseifici, e’, ad esempio, in una classe per cui il numero di giorni a rischio medio e/o massimo e’ sufficientemente elevato.
Dallo studio svolto all’Ibimet emerge inoltre una indicazione molto importante ovvero che il numero di giorni ad alto rischio che comportano quindi maggior disagio per il bestiame e’ significativamente aumentato nel corso degli ultimi anni, a partire dal 2001, rispetto al periodo precedente (1971-2000), segno, presumibilmente, di un clima che sta cambiando.
Questo risultato e’, ai fini gestionali degli allevamenti, molto importante, in quanto indica come vi sia una alta probabilità che sia necessario adottare delle opportune contromisure, come, ad esempio, il raffrescamento delle stalle, una appropriata distribuzione di acqua e di mangime, operando sia sulla quantità che sulla qualità del mangime stesso, la necessita’ di tenere il bestiame all’interno delle stalle piuttosto che al pascolo.
IBIMET ha anche curato per tutta la durata del progetto la messa in opera e il funzionamento di otto stazioni meteorologiche presso altrettante aziende agricole laziali, nonché la raccolta ed elaborazione dati meteorologici raccolti. Ha quindi valutato l’andamento dell’indice termoigrometrico nei mesi estivi presso le aziende. Sono attualmente in corso di elaborazione le analisi della correlazione fra tale indice e le prestazioni e lo stato di salute degli animali. Lo studio proseguirà nel corso dell’estate 2009, in modo da avere un quadro più completo delle correlazioni.

Articolo precedenteSiccita’ e carenza d’acqua spingono il mercato della desalinizzazione
Prossimo articoloCocaina e minori: linee guida dal Dipartimento antidroga

Lascia un commento

Please enter your comment!
Please enter your name here