“Uno spettro s’avanza… Globalizzazione, mafie, diritti e nuova cittadinanza” di Davide Romano

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“Il valore particolare di questo agile volume di Davide Romano sta proprio nella capacità di sintesi di cui l’autore fa mostra nell’affrontare press’a poco tutti i problemi fondamentali della nostra epoca: una capacità di sintesi che rende molto efficace la descrizione, la diagnosi e l’indicazione delle possibili soluzioni delle numerose difficoltà che la società e la politica si trovano oggi a fronteggiare.
I processi di globalizzazione e di nuova territorializzazione, e la conseguente crisi degli Stati nazionali, sono posti lucidamente alla base della necessità di ripensare la democrazia sia nel rapporto paritetico tra grandi aggregati sovranazionali (Europa, Nordamerica, America latina…) che nella ridefinizione della città come nuovo luogo della partecipazione civile..
La doppia sfida delle nuove (e diffusissime) povertà e della sostenibilità ambientale del presente modello di sviluppo, viene efficacemente presentata come la matrice della drammatica urgenza dei nostri problemi.
La diffusione globale e locale dell’«economia criminale», e quindi delle mafie, viene giustamente enfatizzata come cifra di uno sviluppo economico del tutto sregolato che, esaltato dalla guerra permanente, fa sì che la politica divenga diretta rappresentante del crimine (andando quindi ben oltre il classico rapporto di “scambio politico”) e giunge a creare, in particolare nelle zone di più acuto conflitto, dei veri e propri “stati-mafia”.
Insomma: tutte o quasi le nostre questioni essenziali sono tratteggiate da Romano in modo da renderne immediatamente percepibili, e quasi tangibili, le dimensioni e la gravità.
Questa sobria capacità di racconto non impedisce all’autore brevi ma istruttivi “affondi” nei dettagli.
È il caso dell’analisi della legislazione e della prassi amministrativa in materia di confisca e riconversione sociale dei beni sequestrati alle organizzazioni criminali. Qui, la minuziosa descrizione dell’evoluzione della normativa (e della sua attuazione) riesce a rendere conto sia degli ostacoli che via via si frappongono alla sua piena efficacia, sia della massa di competenze tecniche, amministrative e sociali che dovrebbero essere mobilitate per esaltare questa efficacia stessa, sia dell’importante valore simbolico e materiale dell’utilizzo dei beni confiscati al fine di ricostruire (e non di distruggere, come vorrebbero le mafie) nuovi e più saldi legami sociali e civili.
Ed è il caso dell’attenzione che l’autore, assai sensibile alle tematiche religiose, dedica al rapporto tra Islam ed economia, territorio assai poco frequentato dalla nostra cultura. Con sguardo reso acuto dalla curiosità intellettuale e dall’assenza di pregiudizi, vengono individuati i tratti fondamentali della “virtuosa economia” dell’Islam, e messe in luce nozioni ignote ai più, come la “tassa islamica” sulle ricchezze inutilizzate, o il divieto della riba (ossia dell’interesse tratto dalla pura attività speculativa). Nozioni che possono spiegare le particolarità di quella dottrina economica, e quindi sia alcuni suoi limiti ed incongruenze, sia il suo apporto al radicamento sociale di un orientamento religioso la cui diffusione viene troppe volte spiegata, dalla nostra mentalità occidentale, col facile ricorso alla categoria dell’«arretratezza» (mentre Romano invita a coglierne la relazione con alcune delle più avanzate pratiche di economia alternativa, come quella del microcredito).
Ma il tema principale del libro, il leit motiv di tutte le sue diverse argomentazioni, è senz’altro quello della democrazia e delle sue nuove forme, una democrazia che diviene la base di quell’umanesimo in cui Romano vede la vera missione dell’Europa del XXI secolo. E nel delineare questa democrazia Romano attinge sia alla più alta tradizione liberale, valorizzando al massimo il ruolo della divisione dei poteri, sia all’apporto del pensiero del movimento operaio in materia di democrazia sostanziale, sia ai motivi più attuali d’una cittadinanza partecipata capace di esercitare una decisione democratica su tutti i più rilevanti punti della convivenza sociale: dalle scelte economiche a quelle ambientali, dalla distribuzione della ricchezza alla gestione di una sicurezza che, se deve divenire, per l’autore, un diritto di rango costituzionale, deve però essere declinata, contemporaneamente, nelle forme dell’efficace politica di contrasto e della costruzione di quei legami sociali che della sicurezza sono precondizione e contenuto. Un approccio particolarmente interessante, quest’ultimo, ad un problema tanto strumentalizzato (e spesso aggravato) dalla destra, quanto ignorato o sottovalutato da ciò che resta della sinistra: prendere sul serio la questione della sicurezza e, nello stesso tempo, modificarne i termini rispetto alle correnti semplificazioni, è senz’altro una delle chiavi per rispondere al grave imbarbarimento del nostro discorso pubblico.
Particolarmente interessanti, infine, e sempre in tema di democrazia, sono le osservazioni offerteci da Romano sul delicato tema della riforma della politica. Qui, come altrove, l’autore non si concede scorciatoie, sia perché chiama in causa anche i movimenti e le associazioni (che, pure, in questi anni hanno mostrato una vitalità spesso assai superiore a quella dei partiti), avvertendoli della necessità di non cullarsi nell’illusione di essere sempre e comunque portatori di innovazione, sia perché non si associa al coro dei liquidatori dei partiti e, forse proprio per questo, indica con rigore le vie di una loro possibile autoriforma. A chi è impegnato nei partiti, infatti, Romano non rivolge generici richiami all’apertura ed al rinnovamento, non chiede semplicemente di “farsi da parte” e di delegare alla società un numero crescente di funzioni, ma suggerisce modifiche radicali proprio nei punti più sensibili, e più importanti al fine di un effettivo rilancio del ruolo dei partiti stessi: i processi di formazione dei gruppi dirigenti, la capacità di definizione programmatica, l’efficacia e la democraticità della struttura organizzativa. Così, entrando nel “cuore” del funzionamento dei partiti, la critica di Romano non si confonde con le ricorrenti demolizioni che, non a caso, distruggono ciò che vi era di “popolare” nei partiti stessi e favoriscono la formazione di strutture leaderistiche e populistiche, ma tenta di disegnare l’immagine di organismi politici forti e adeguati ai mutamenti, capaci di stare al passo con le dinamiche della cittadinanza partecipata, e di sollecitarle.
“È ora di tornare all’impegno politico”, ci dice l’autore: ed è chiaro che l’impegno di cui parla è quello di estendere, rinnovare, rendere più democratiche ed efficaci tutte le forme d’azione oggi presenti, da quelle più tradizionali a quelle che movimenti ed associazioni hanno tumultuosamente sperimentato negli anni più recenti. È l’impegno, a cui tutti siamo sollecitati, a non fare “per” i cittadini, ma “con” essi.
Insomma, le osservazioni di Romano mostrano ad un tempo una realistica comprensione dei limiti attuali della politica ed una sostanziale fiducia nel positivo ruolo di una politica rinnovata: pregio non ultimo di un libro la cui essenzialità è, con tutta evidenza, la concretizzazione di una intensa e lucida passione civile”.

Paolo Ferrero, segretario nazionale Prc e portavoce nazionale della Federazione della sinistra.

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