“La certezza del dolore” di Andrea Cerri

Intervista di Annarita Di Sena

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Napoli – Andrea Cerri, autore de “La certezza del dolore”, questo è per te il secondo romanzo. Quanto è difficile oggi, per un autore emergente scrivere e pubblicare un libro?
Tanto, davvero.

Il libro ha come protagonista Cristina, una ragazza disabile. Perché questa scelta?
Perché in genere si parla dei disabili solo in relazione ai loro bisogni primari ma mai  della qualità della vita. Soffrono l’ignoranza e il menefreghismo, come quando si parcheggia nei posti loro riservati. Nessuno si ferma a guardare oltre la loro disabilità, guardarli come persone, con l’istinto naturale verso la felicità.

Hai scelto di parlare di temi scomodi, come la sessualità per i disabili e il bullismo che spesso questi ragazzi sono costretti a subire. Non credo sia stato semplice
No. La sessualità nei disabili è uno degli ultimi grandi tabù rimasti , quando se ne parla tutto resta nella retorica. Non si parla più, ad esempio, dell’assistenza sessuale per i disabili  che già esiste in Svizzera. E non credo se ne parlerà per molto, visto che questa legislatura sta affrontando temi diversi, come per esempio i furti dei bambini a opera dei ROM e il furto del lavoro da parte degli immigrati.

 Quanto manca perché il concetto di  disabilità non equivalga più a quello di esclusione?
Forse non ci arriveremo mai, almeno qui da noi, ci si muove per compassione, mai per civiltà. Non ci sono percorsi di integrazione che portano all’uguaglianza, solo opere di carità. Il disabile è visto ancora come un diverso però è un diverso che non fa paura, sul quale non è possibile costruire una propaganda d’odio come hanno fatto con altri diversi.

 Il racconto però mostra un lato positivo, parla di seconde possibilità…
Se non avessimo queste certezze sarebbe impossibile affrontare la vita.

Se dovessi scegliere un’immagine del tuo  libro quale sceglieresti?
Sono tante, ma forse il momento in cui Cristina prende a schiaffi Fabio in ospedale. Il rapporto tra i due in quel momento è fisicamente alla pari, ma la disabilità di Cristina è certa, quella di Fabio no. Lui sta decidendo di non darsi una possibilità, di non provare a fare ciò che i medici gli dicono. É un gesto violento, ma un gesto d’amore per un nobile fine, un’ esortazione.

 Quanto di Andrea c’è nel libro?
I personaggi sono un po’ tutti proiezioni di me stesso, in percentuali più o meno alte, in modo più o meno evidente. Alcuni sono ispirati a persone reali, ma contengono sempre un po’ dell’autore. Ma forse Fabio Terzi è il mio alter ego, è l’amico al quale mi sono affidato per finire alcune pagine e segnare il percorso.

Concludiamo con il titolo, ce lo spieghi?
Il titolo nasce dalla considerazione semplice che nel dolore c’è la presa di coscienza, la verità. Ma anche da una motivazione personale di confidenza con il dolore. Ricordi la frase di Fazio” chi soffre per amore non ha mai avuto calcoli renali?”. In uno dei viaggi in ospedale, il mio vicino in stanza è morto. Lì mi sono reso conto del dolore della figlia per la perdita del padre, lei che ripeteva “Papà, papà…” e io sotto l’effetto degli antidolorifici ho visto l’oscurità del dolore. La mattina dopo il dolore della notte ci aveva portato a due diverse certezze, entrambi avevamo preso coscienza di una nuova realtà, proprio come accade a Fabio nel libro.

Ti ringrazio e ti rinnovo i complimenti per il libro che ho davvero apprezzato.
Grazie a te.

Annarita Di Sena

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