Le cellule tumorali, inserite in un ambiente nutritivo e di crescita adatto, tendono a proliferare indefinitamente. Questo ha fatto supporre che la senescenza cellulare potesse rappresentare una barriera alla loro crescita. Una collaborazione interdisciplinare tra l’Istituto per l’energetica e l’interfasi del Consiglio nazionale delle ricerche di Milano (Ieni-Cnr), l’Università di Milano e la Cornell University (Usa) ha mostrato come la senescenza cellulare, che avviene spontaneamente nelle cellule di melanoma, non ne arresta la crescita. I risultati dello studio sono stati appena pubblicati sulla rivista open access PLoS Computational Biology.
“Il lavoro ha cercato di esplorare la relazione tra il melanoma e la senescenza cellulare, ovvero il processo naturale per cui le cellule, invecchiando, smettono di dividersi”, spiega Stefano Zapperi dello Ieni-Cnr. “Da qui l’idea di seguire la crescita in vitro di cellule di melanoma, monitorando il numero di quelle senescenti. Dopo tre mesi, effettivamente, la crescita ha cominciato a rallentare e la maggioranza delle cellule sono diventate senescenti, ma senza che il processo di crescita si arrestasse mai completamente. Infatti, subito dopo è ripreso alla velocità iniziale, mentre le cellule senescenti sono progressivamente scomparse”.
Una consistente presenza di cellule senescenti è stata osservata nei tumori ottenuti in topi immunocompromessi (con sistema immunitario modificato). “Successivamente è stato sviluppato un modello matematico per spiegare meglio tale processo, basato sull’ipotesi che all’interno del tumore sia presente una piccola frazione di cellule staminali tumorali che si divide indefinitamente, senza andare in senescenza”, aggiunge Zapperi. “Oltre a riprodursi, queste cellule originano una vasta popolazione di cellule tumorali ordinarie, che si dividono solo per un certo numero di volte prima di diventare senescenti”. Il modello è stato confrontato con i dati sperimentali, permettendo di riprodurre quantitativamente sia le curve di crescita, sia l’evoluzione del numero delle cellule senescenti.
“Tale modello fornisce una conferma indiretta della presenza di cellule staminali tumorali nel melanoma, una questione ancora dibattuta e facilmente estensibile ad altri tumori in cui la presenza di staminali tumorali è invece assodata”, prosegue il ricercatore. “Benché una gran parte delle cellule tumorali possano andare in senescenza, indurre tale processo non sembra una strategia terapeutica promettente, visto che queste cellule risultano irrilevanti per la crescita del tumore. Simulazioni del modello mostrano che accelerare la senescenza porterebbe solo a una scomparsa temporanea del tumore, che poi ricomincerebbe a crescere sostenuto dalle cellule staminali tumorali”.
L’accertata presenza di queste cellule nel melanoma potrebbe però aiutare a sviluppare nuovi metodi per curare questo tipo di tumore. “La sfida è superare la resistenza alla senescenza delle staminali tumorali e sviluppare metodi che colpiscano specificamente queste cellule”, conclude Zapperi.