Nell’attesa di leggere le motivazioni riportate nel comunicato stampa della Consulta in merito all’eccesso di delega da parte del Governo al solo comma 1 dell’art. 5 del D.Lsg. 28/2010 non si e’ prestata, nel frattempo, molta attenzione a tre sentenze del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio – sezione Terza Quater – su altrettanti ricorsi presentati da organismi di mediazione costituiti per la maggior parte da avvocati contro il Consiglio Nazionale Forense, il Ministero di Giustizia e l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, per l’annullamento, previa sospensione, dell’articolo 55 bis del Codice Deontologico Forense che disciplina lo svolgimento dell’attivita’ di mediazione da parte degli avvocati.
L’art. 55 bis del Codice Deontologico del CNF “vieta all’avvocato di assumere funzioni di mediatore se ha avuto rapporti professionali con una delle parti negli ultimi due anni o se una delle parti e’ o e’ stata assistita, anche in questo caso negli ultimi due anni, da un professionista di lui socio o con lui associato o che eserciti l’attivita’ forense negli stessi legali, nonche’ di intrattenere rapporti professionali con una delle parti se non e’ passato un biennio dalla definizione del procedimento di mediazione e se l’oggetto dell’attività non e’ diverso da quello del procedimento stesso”. Il TAR ha giustamente posto l’attenzione alla richiesta del CNF di evitare che attraverso l’istituto della mediazione venissero poste in atto commistioni d’interessi.
Ragionando sulle tre sentenze ed esaminando gli iscritti nel ROM (Registro Organismi Mediazione) si delinea un quadro abbastanza significativo. Il totale degli organismi di mediazione è di 964 di cui 593 (quasi il 60%) sono quelli costituiti da società di capitale, di persone o comunque istituzioni a scopo di lucro, gestiste per la maggior parte da avvocati. 229 sono gli organismi pubblici (camere di commercio, ordini professionali, fondazioni, università pubbliche e private (quasi il 30%) e 142 sono gli organismi composti da associazioni con o senza scopo di lucro (poco più del 10%).
“Molti di questi organismi “privati” a scopo di lucro” -dice Pecoraro, presidente dell’organismo internazionale di conciliazione & arbitrato – “hanno messo in atto comportamenti disciplinarmente rilevanti, che oltre a danneggiare la mediazione hanno danneggiato loro stessi e i colleghi avvocati, per l’uso strumentale che ne hanno fatto, convincendo ad “investire” gli stessi in una societa’, ovvero ponendo in essere situazioni di conflitto potenziale nei confronti della parte/i assistiti. A causa di questi organismi si era ingenerato un sistema di partecipazione alla mediazione “fallimentare” e spesso anche “ricattatorio”, in particolar modo da parte di quegli organismi che avevano introdotto nel proprio regolamento la possibilita’ per il mediatore di avanzare una proposta”.
“Ora mi aspetto” – dice Pecoraro – “che dopo queste sentenze del Tar il CNF applichi i dovuti provvedimenti nei confronti di avvocati che hanno violato quando disposto dall’art. 55 e 55 bis del loro codice deontologico e che si determini anche contro quegli organismi di mediazione espressione degli ordini provinciali, dove i verbali di mancata adesione hanno costituito la regola al mancato accordo pur di portare le parti in causa.
Non esiste deflazione dei procedimenti pendenti e da venire senza l’introduzione dell’obbligatorietà che deve essere totale cioè allargata alla tutela di tutti i diritti disponibili dei cittadini. Non possono essere caricate sulle spalle dei cittadini miliardi di euro per sanzioni e costi di giustizia in tempo di crisi per salvaguardare interessi specifici di pochi”