Londra – Se non ora, quando? Se non sfruttiamo oggi le risorse “italiane” di idrocarburi quando lo dovremmo fare? Siamo in piena crisi, diamo un segnale. Diamo impulso all’economia sbloccando non solo gli investimenti nell’esplorazione e l’estrazione di petrolio e gas, ma di tutti gli investimenti, sopratutto esteri, che sono fermi da lunghi anni. Troppi anni. Prendiamo ad esempio l’Islanda. L’Islanda è una nazione insulare dell’Europa settentrionale, situata nell’Oceano Atlantico settentrionale, tra la Groenlandia (200 km) e la Gran Bretagna. E’ salita alla ribalta delle cronache internazionali ed anche in Italia per la crisi del 2008 ed il modo con cui l’Islanda ha risolto il problema: la famosa: “Rivoluzione islandsese” detta anche “rivoluzione silenziosa”.
Perchè parliamo di Islanda? Perchè nei giorni scorsi ha dato ufficialmente il via allo sfruttamento delle proprie risorse di idrocarburi con la concessione di due licenze di esplorazione e produzione di petrolio e gas naturale alla propria compagnia energetica statale, la Petoro.
Tutto questo accade in Islanda, il Paese diventato fonte di ispirazione quando si tratta di energia sostenibile. Quasi il 100 per cento della sua elettricità è generata da centrali idroelettriche o di altre risorse rinnovabili, mentre il 90 per cento delle famiglie, circa, sono riscaldate con energia geotermica.
L’olio viene importato in esclusiva per le auto e flotte di pesca del paese di enorme.
L’Islanda è in grado di produrre energia elettrica anche per soli 2,5 centesimi per kilowatt dai suoi impianti geotermici ed anche senza una rete nazionale, l’energia è così abbondante e poco costosa che intere strade vengono riscaldate durante i lunghi mesi invernali solo per tenerli lontani da ghiaccio.
Ecco però che l’Islanda pensa al suo futuro e pensa anche ad altre soluzioni come l’estrazione e lo sfruttamento di idrocarburi.
L’Orkustofnun, l’autorita’ islandese per l’energia ha reso noto che due blocchi offshore sono stati individuati nell’area di Dreki, al largo della costa nordorientale del paese. Reykjavik potrà contare sul sostegno tecnologico del secondo produttore petrolifero europeo, la Norvegia, il cui governo ha acquisito una partecipazione del 25% in entrambi i progetti.
Molti parlano di seguire il “modello islandese” di democrazia.
Io aggiungerei anche di sviluppo.
Prendiamo esempio da questo Paese che ha deciso di sostenere ed investire nella produzione interna di petrolio.
Se vogliamo uscire dalla crisi, dobbiamo farlo.
Se non ora, quando?
Riccardo Cacelli
Cacelli Managament & Consulting Ltd
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