Mobbing: conoscerlo per difendersi

Come per qualsiasi fenomeno, è difficile parlare di mobbing senza fare riferimento ai numeri.

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Come per qualsiasi fenomeno, è difficile parlare di mobbing senza fare riferimento ai numeri ma, al momento, nel nostro paese i dati sono piuttosto incerti e frammentati (il CIAM – Centro Italiano Anti Mobbing parla di 1.500.000 lavoratori mobbizzati). In Italia di mobbing, parola mutuata una ventina d’anni fa dall’inglese per indicare i diversi tipi di molestie morali e di soprusi sul lavoro, si è molto parlato ma oggi si parla meno, regalando al sommerso una dimensione sempre più ampia e pericolosa. Perché se è difficile stimare, riconoscere, affrontare una situazione di mobbing, ancora più difficile è denunciare e raccogliere le prove necessarie a far valere i propri diritti. Cerchiamo, quindi, di fare chiarezza sul fenomeno e sulle norme che permettono a chi ne è vittima di tutelarsi.

Cosa si intende per mobbing?
Con il termine “mobbing” si fa riferimento ad un insieme di atti o comportamenti persecutori perpetrati da parte di uno o più individui ai danni di un altro, in un contesto lavorativo, finalizzato ad emarginare ed escludere un soggetto dal gruppo sociale di appartenenza. È una forma di sopruso e di violenza psichica protratta nel tempo, esercitata con modalità e tempistiche ben precise, a danno di un collega di lavoro, di un subordinato o semplicemente di un individuo più debole, con il chiaro intento di danneggiarlo.

Affinché il mobbing assuma rilevanza sul piano giuridico, è necessario che il terrore psicologico si estrinsechi in comportamenti aggressivi e vessatori che si protraggano nel tempo in maniera ripetuta, regolare e frequente e che comportino nel soggetto passivo uno stato di stress, agitazione e nervosismo, sino ad alterare il suo equilibrio psico-fisico.

Quando si può parlare di mobbing?
Mancando una specifica normativa di riferimento, è necessario rammentare che non esiste un criterio per individuare con precisione le azioni che possono configurare un caso di mobbing. In linea di massima, assume rilievo ogni forma di sopruso perpetrata da una o più persone nei confronti dell’individuo più debole: ostracismo, vessazioni, umiliazioni pubbliche e diffusione di notizie non veritiere. Ne sono esempio: le critiche continue e immotivate, la dequalificazione, l’emarginazione, le umiliazioni, le molestie, le angherie e i maltrattamenti.

Per disincentivare azioni legali avventate e offrire ai giudici di merito dei riferimenti, in mancanza di una normativa ad hoc, la giurisprudenza di legittimità, con sentenza n.10037/2015, ha individuato delle linee guida per riconoscere il mobbing, evidenziandone dei comuni denominatori. Sono i parametri secondo cui la vittima deve provare di essere stata danneggiata sul lavoro: ambiente, durata, frequenza, tipo di azioni ostili, dislivello tra antagonisti, andamento per fasi successive, intento persecutorio.

Più in particolare:

presenza di vessazioni sul luogo di lavoro o in un contesto socialmente assimilabile;
i contrasti, le mortificazioni o quant’altro devono durare per un certo periodo di tempo: esse non devono essere episodiche e sporadiche ma anzi reiterate e molteplici nel tempo;
deve trattarsi di più azioni ostili: attacchi alla possibilità di comunicare, isolamento sistematico, cambiamenti delle mansioni lavorative, attacchi alla reputazione, violenze minacce, vessazioni e soprusi;
deve esserci un generale dislivello tra gli antagonisti con l’inferiorità manifesta del ricorrente il quale, destabilizzato psicologicamente dalle angherie profuse, ne subisce  inerme gli effetti;
presenza di più fasi successive: conflitto mirato, inizio del mobbing, sintomi psicosomatici,  abusi, aggravamento della salute, esclusione dal mondo del lavoro ecc.
oltre a tutto ciò, bisogna che vi sia l’intento persecutorio ovvero un chiaro disegno premeditato per tormentare il dipendente assoggettandolo ad atteggiamenti prevaricatori, volti all’isolamento e alla destabilizzazione psico-fisica del soggetto passivo.
L’onere della prova: chiedere aiuto all’investigatore privato Roma
Le vittime di mobbing trovano, quindi, la loro principale fonte di tutela nella possibilità di citare in giudizio il loro mobber dinanzi al giudice civile (anche se ci sono dei casi in cui il mobbing può assumere rilevanza anche da un punto di vista penale, sebbene non esista una specifica figura di reato ad hoc). A tale proposito, va detto che le tipologie di danno che possono essere richieste in sede civile e per le quali il giudice può disporre il risarcimento sono molteplici e possono riguardare sia il danno non patrimoniale che il danno patrimoniale.

Affinché possa essere risarcito del danno subito, è necessario che sia il soggetto passivo a fornire prova precisa e dettagliata della sofferenza e del disagio di cui è vittima. Innanzitutto egli dovrà provare che, nei suoi confronti, sono stati perpetrati una serie di comportamenti persecutori, con intento vessatorio e che questi siano stati ripetuti e costanti nel tempo. Un’ulteriore fondamentale prova da fornire è quella relativa al danno alla salute psico-fisica subito. Essa potrà essere data con dichiarazioni testimoniali e, ancor più efficacemente, con perizie e certificati medici che attestino lo stato di depressione e frustrazione. Infine, ed è questa la prova più delicata da fornire, dovrà essere accertato lo stretto rapporto tra la condotta denunciata e il danno subito.

L’attività di investigazione privata Roma può senz’altro essere utile a documentare queste complesse situazioni dinanzi al giudice. In che modo? L’Investigatore privato Roma della Argo con l’aiuto di professionisti dell’agenzia investigativa Roma sono in gradi di assistere la vittima di mobbing sia dal punto di vista psicologico che investigativo.

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