PADOVA. Il tema della violenza sulle donne da diversi anni è al centro del dibattito pubblico. Iniziative di sensibilizzazione, approfondimento e discussione, soprattutto tra i giovani, si susseguono in tutta Italia. I centri antiviolenza sono presenti su tutto il territorio. Purtroppo però i numeri relativi alle violenze non sono incoraggianti anche se il legislatore ha affrontato il problema aggiungendo leggi speciali e di rafforzamento della tutela delle donne contro ogni fenomeno di violenza. L’ultima indagine ISTAT (anno 2020) conferma una tendenza, quella della violenza sulle donne, che negli anni non è cambiata in modo significativo. Nel 2020, 15.387 donne hanno contattato un Centro antiviolenza. Nello stesso anno 116 donne sono state uccise, nel 92% dei casi per mano di un partner (58%), di un parente (26%) o di una persona conosciuta (8%). Per contro, più della metà (61%) degli omicidi a danno dei maschi sono commessi da sconosciuti e legati ad una matrice malavitosa. Se gli uomini sono per lo più uccisi per strada, le donne invece sono uccise soprattutto tra le mura domestiche. Come affrontare questa emergenza? E soprattutto quali sono le radici di questo fenomeno? La Fondazione Foresta Onlus di Padova ha deciso di scendere in campo con una ricerca scientifica finalizzata a fare chiarezza sulla percezione dell’importanza di questo tema tra i giovani. Sono stati intervistati 945 soggetti, 578 ragazze e 367 ragazzi, con un’età media di 21 anni. La ricerca si è svolta negli ultimi mesi con dei questionari sottoposti a studentesse e studenti dell’area padovana iscritti agli ultimi anni delle scuole superiori e dei primi anni di università. In base ai dati raccolti, le ragazze sono 2,4 volte più attente al dibattito sulla parità di genere rispetto ai ragazzi, lo considerano “molto importante” (su una scala da 1 a 10, il 65% delle ragazze ha risposto “10”, contro appena il 27% dei ragazzi). Similmente, il dibattito sull’identità di genere è sentito molto di più (1,7 volte) dalle persone transgender e non-binary rispetto ai cisgender (su una scala da 1 a 10, il 33% di transgender e non-binary ha risposto “10”, contro il 19% dei cisgender). Questi dati trovano conferma anche rispetto al tema delle discriminazioni, dove femmine, persone transgender e persone non-etero risultano maggiormente discriminate (dal 40% al 75% si sente discriminato, contro il 5-10% di maschi, cisgender, etero). È stato inoltre chiesto ai ragazzi di descrivere con quattro parole il genere femminile. Il 50% dei ragazzi intervistati descrive il femminile come un bilanciato insieme di “bellezza, forza, affetto e intelligenza”; è un ritratto, questo, che combacia con l’attuale rappresentazione del femminile proposto dalla nostra coscienza collettiva; un altro 40% rappresenta il femminile attraverso caratteristiche quali “maternità, fragilità, accudimento e sensibilità”. D’altra parte, almeno il 30% dei maschi viene rappresentato con le caratteristiche di “forza, arroganza, sessualità e potere”; la quota sale al 40% delle risposte date se aggiungiamo all’elenco le parole “fragilità e stupidità”. In altre parole, gli stereotipi che caratterizzano le differenze tra maschile e femminile sembrano così radicati da essere connaturati anche nelle nuove generazioni. Come interpretare questi dati? Se ne discute oggi al Centro culturale Altinate/San Gaetano in occasione dell’incontro “DISPARITÀ (È) VIOLENZA – COSA STIAMO SBAGLIANDO?” promosso da Fondazione Foresta Onlus con patrocinio del Comune di Padova e la collaborazione della Fiera delle Parole. Interverranno Carlo Foresta, medico endocrinologo, Vittorino Andreoli, psichiatra, Anna Monia Alfieri, suora, Mario Bertolissi, avvocato costituzionalista, Felice A. Nava, psichiatra, Irene Facheris, psicologa attivista femminista. I dati verranno presentati dagli psicoterapeuti Pietro Aliprandi e Roberta Rosin. “Il divario nelle risposte appena descritte suggerisce un possibile fallimento degli sforzi educativi e culturali finora messi in atto – spiegano il dottor Carlo Foresta, presidente di Fondazione Foresta Onlus, e i suoi collaboratori – questo perché i veri destinatari delle campagne di sensibilizzazione, i maschi, sembrano molto meno interessati al tema. A mio avviso ciò è dovuto all’incapacità, da parte degli uomini, di empatizzare e identificarsi con le vittime della discriminazione sessuale. Uno scarso interesse al dibattito può tuttavia rappresentare un meccanismo difensivo volto a celare la consapevolezza di una fragilità non riconosciuta da sé stesso e dall’altro. Dunque, è possibile che l’uomo viva le conseguenze di una stereotipizzazione della propria rappresentazione sociale, e questa ipotesi sembra essere confermata dai risultati della nostra indagine. Dall’abolizione del patriarcato sembra essere emersa l’idea di un uomo rozzo e banale, del tutto inadatto a sostenere quella “parità di genere” che tanto disperatamente cerchiamo”.