La privacy a rischio con le webcam. Dal controllo delle strade all’epoca dei cyber-ricatti

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Da Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti” riceviamo e pubblichiamo

Sono sempre più piccole, i loro costi sono bassissimi e sono presenti su ogni pc, tablet, portatile di ultima generazione anche perché la diffusione di programmi di condivisione delle immagini tipo Skype che consentono di videochiamarsi in rete le rende pressoché indispensabili ai giorni d’oggi.
Sono utilissime, quindi, le webcam ossia quelle microscopiche videocamere che ormai rappresentano degli occhi che vigilano nelle nostre case, nei nostri uffici, ma anche nei luoghi più impensabili, tipo parchi, strade ed altri spazi pubblici.

Vi è da dire, però che la loro miniaturizzazione, ha consentito che gli ultimi ritrovati sono diventati degli “occhi” pressoché completamente autonomi, in quanto si collegano direttamente alla rete attraverso un proprio indirizzo IP ed la cui unica finalità è inquadrare costantemente ed anche ventiquattrore su ventiquattro ciò che l’obiettivo sta inquadrando. Molto utili quindi per la videosorveglianza ma anche strumenti assai invasivi della privacy e della riservatezza delle persone se non utilizzate per i fini a cui dovrebbero essere legalmente demandate.

Tant’è che è sufficiente che le impostazioni di sicurezza della rete locale non vengano regolate correttamente, il mini-sito della webcam è infatti visibile da chiunque via Internet e basta digitare su qualsiasi motore di ricerca alcune particolari parole per trovarne di accessibili in ogni parte del mondo. Tra l’altro, molto spesso questo tipo di camere digitali sono anche comandabili a distanza per puntarle in varie direzioni e regolarne lo zoom.

V’è da dire però che l’utilizzo per la vigilanza pubblica in Inghilterra ha consentito una vera e propria caccia ai crimini sul web, attraverso la possibilità da parte di comuni cittadini di mettersi a controllare sul monitor di casa una serie di “occhi” elettronici pubblici puntati in determinate zone del paese. Si è scatenata così una vera e propria “caccia al ladro” in versione hi tech che ogni mese mette in palio premi fino a 1’000 sterline a chi guadagna più punti segnalando il maggior numero di atti criminali.

Per ovvie ragioni alcune associazioni che difendono i diritti civili e sulle quali concordiamo, hanno immediatamente condannato questo che è ormai divenuto un vero e proprio gioco soprannominato “Internet Eyes” poiché da una parte evidentemente troppo invadente per la privacy e dall’altro perché potrebbe generare una pericolosa “caccia alle streghe” che non a nulla a che vedere con la lotta alla criminalità.

Se quindi, le webcam possono essere preziosamente utilizzate dalle forze di polizia cui riteniamo deve essere univocamente affidato il contro della sicurezza dei cittadini, dall’altra possono trasformarsi addirittura in un vile mezzo di ricatto.

Non è raro il caso di cibercriminali o hacker che carpiscono le immagini di ignari cittadini infiltrandosi nei loro pc e procedono alla registrazione o alla visione di quanto c’è dall’altra parte della telecamera.

Sono segnalati, peraltro, in rete i casi di cronaca di spregiudicati soggetti che una volta acquisiti i video o le immagini le utilizzavano come arma di ricatto, minacciando i malcapitati e le malcapitate di renderle pubbliche o di mandarle a parenti e amici.

Non resta che riferire un semplice suggerimento manuale a chi non vuole correre alcun rischio d’invasione della privacy visto che la tecnologia fa passi da gigante e gli hacker sono sempre un passo avanti rispetto ai rimedi tecnologici: basta coprire la webcam con un pezzo di nastro adesivo quando non è in uso e staccare ogni microfono.

Giovanni D’AGATA

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