«In tutti questi anni né il Comune né tantomeno l' Acea hanno fatto investimenti in grado di migliorare il servizio idrico o che giustificassero una tariffa così elevata (la più alta del Lazio) mentre a Roma si paga la "nostra" acqua 0.15-0.30 a mq». Questo il commento di Marco Tiberti, responsabile per la provincia di Rieti dell'Italia dei Diritti, alla notizia del blackout idrico avvenuto nel capoluogo reatino qualche giorno fa e che ha riaperto le polemiche sulla gestione idrica della zona. La città è rimasta senz'acqua dalle 19,30 circa di lunedì sera alle 7 del mattino del giorno dopo, creando numerosi disagi ai residenti e agli esercenti di bar e ristoranti. Il Comune e la Sogea, che ne gestisce gli acquedotti, hanno ripristinato l'attività idrica in breve tempo, ma si torna a parlare di accelerare il decollo dell'Ato 3, facendo leva sugli investimenti di cui tale struttura necessita. Tiberti però denuncia: «E'pretestuoso chiedere dei soldi a Roma, e cioè all'Acea, per la privatizzazione della sorgente più grande d'Europa, invece di pretendere che tale sorgente sia gestita pubblicamente per riversare i 400 milioni di euro annui, che l'Acea guadagna con l'attuale sfruttamento gratuito della stessa, in investimenti per la provincia di Rieti che, oltre a garantire un miglioramento della rete idrica, porterebbero alla creazione di centinaia di posti di lavoro ». In questi anni è proprio l'Acea SpA (proprietaria della Sogea, insieme al Comune di Rieti) che avrebbe dovuto effettuare investimenti per migliorare la gestione dell'acquedotto dello stesso Comune. "Tutto questo dimostra il fallimento delle politiche liberiste e privatizzatrici quando si tratta di gestire beni di rilevanza pubblica - continua l'esponente del movimento presieduto da Antonello De Pierro - privato vuol dire che, oltre al costo oggettivo per garantire il servizio, deve comunque esserci sempre la quota di profitto per gli azionisti privati, che va a gravare inevitabilmente sulle tasche dei cittadini". Tiberti aggiunge inoltre che, con la recente modifica dell'art. 23 bis, il Governo "obbliga" i Comuni a privatizzare tutti quei servizi di rilevanza pubblica (acqua, gas, energia, rifiuti, trasporti) con il risultato di far aumentare il costo di tali servizi e depauperare ancora più le già scarse risorse economiche delle famiglie italiane.