Il decreto sulla sanità calabrese
Con il decreto legge n. 35 – ora all’esame del Parlamento – approvato all’unanimità nel Consiglio dei ministri straordinario, tenutosi simbolicamente a Reggio Calabria il 18 aprile, il governo ha di fatto esautorato la regione Calabria dalla gestione della sanità regionale per 18 mesi. Pur nella lunga storia dei piani di rientro che hanno coinvolto varie regioni, è la prima volta che questo succede.
L’intervento dello stato ruota intorno ai poteri aggiuntivi attribuiti all’attuale commissario ad acta per l’attuazione del piano di rientro della Calabria. In particolare, il commissario avrà il compito di verificare (in via straordinaria) l’attività dei direttori generali delle aziende sanitarie e delle aziende ospedaliere, un compito che prima spettava alla regione. Qualora la verifica dovesse accertare che i direttori non hanno attuato le azioni stabilite nel piano di rientro, il commissario potrà nominare “commissari straordinari” d’intesa con la regione. In realtà, l’intesa non è necessaria, perché in mancanza di accordo, la nomina è effettuata con decreto del ministero della Salute previa delibera del Consiglio dei ministri allargato al presidente della regione Calabria. Il coinvolgimento della regione nella procedura di nomina e la temporaneità del provvedimento dovrebbero salvaguardare il decreto dall’incostituzionalità che ha sempre caratterizzato la nomina dei commissari e, più in generale, le misure di “sostituzione” da parte del governo nazionale nella gestione della sanità regionale.
Il compito chiave degli eventuali commissari straordinari – di diretta emanazione del governo – delle aziende del servizio sanitario regionale calabro, oltre al controllo dell’attività dei direttori amministrativi e dei direttori sanitari, sarà quello di verificare la gestione dell’ente. Laddove emergano gravi e reiterate irregolarità nella gestione dei bilanci (messe in luce in numerose relazioni della Corte dei conti), i commissari straordinari dovranno proporre al commissario ad acta di disporne la gestione straordinaria. Alla gestione straordinaria saranno imputate entrate e spese di competenza fino al 31 dicembre 2018 e verrà nominato un commissario straordinario di liquidazione. È il modo più semplice dal punto di vista amministrativo per chiudere con il passato e voltare pagina.
Il decreto stabilisce inoltre l’obbligo di centralizzazione degli acquisti presso Consip o presso le centrali di committenza di altre regioni, segno che non si sono fatti progressi nemmeno su questo fronte. Vengono anche messi sul piatto 82 milioni di euro per il 2019 per l’ammodernamento tecnologico: non poco per una regione che ha registrato un disavanzo di gestione di 99 milioni di euro nel 2017.
Le infiltrazioni della criminalità
È giustificata un’attenzione così particolare? La figura 1 mostra l’evoluzione della situazione delle regioni fino al 2017 rispetto a due parametri chiave per discutere dei risultati dei piani di rientro: il disavanzo di gestione in percentuale della spesa tiene conto degli aspetti finanziari (a partire dal 2007, primo anno di attuazione dei piani); il punteggio Lea (livelli essenziali di assistenza) indica la capacità della regione di tutelare la salute (a partire dal 2012, come calcolato nel più recente report del ministero della Salute). Una freccia orientata verso il basso a destra mostra la dinamica desiderata dal governo attraverso l’adozione del piano di rientro: una riduzione del disavanzo accompagnata da un miglioramento del punteggio Lea. Per le regioni interessate, tutte le frecce sono orientate verso il basso a destra. La Calabria è però l’unica che mostra progressi contenuti sia sul versante del calo del disavanzo sia sul versante del miglioramento in termini di tutela della salute dei propri cittadini. La domanda è allora perché proprio la Calabria è in questa situazione peculiare?
Tra le tante possibili spiegazioni, una è sicuramente legata al ruolo che la criminalità organizzata gioca nell’ambito della sanità regionale. Si tratta della principale industria calabrese: la spesa sanitaria da sola rappresenta circa il 10 per cento del Pil regionale. La presenza di infiltrazioni nei gangli decisionali della sanità calabrese da parte della ‘ndrangheta è stata certificata, ancora una volta, con il decreto di scioglimento e successivo commissariamento della azienda sanitaria provinciale di Reggio Calabria del 7 marzo. La relazione del prefetto ne mostra chiaramente i problemi gestionali. Per fare alcuni esempi: “la gestione organizzativa del personale appare fuori controllo”. L’azienda non ha contezza delle mansioni attribuite a ciascun dipendente, dell’effettiva attività svolta, della identificazione del posto in organico di ciascun dipendente, della figura professionale che lo ricopre. I bilanci non sono approvati, non si sa esattamente da quale anno. C’è una situazione di “caos amministrativo-contabile” e non ci sono “dirigenti economico-finanziari competenti”. Si sono liquidati e pagati “ingentissimi interessi moratori su debiti pregressi esistenti da anni”, causando un depauperamento delle risorse economico-finanziarie attribuite all’ente. Non si fanno gare per l’acquisto di beni e servizi e si procede ancora per affidamento diretto.
In questa situazione, non è difficile capire perché il 20 per cento dei calabresi abbia scelto un ospedale fuori regione per farsi curare negli ultimi anni. E perché il governo abbia pensato di intervenire in via straordinaria con un provvedimento che oltre alla sanità riguarda l’ordine pubblico e la capacità dello stato di ristabilire un principio di legalità sul territorio. Speriamo che basti.
Massimo Bordignon, Silvia Coretti e Gilberto Turati. da “LaVoce.it”