Una ricerca targata Unime, che è stata pubblicata oggi dall’American Academy of Microbiology attraverso la sua prestigiosa rivista mBio, spiana la strada alla terapia di infezioni causate da batteri resistenti agli antibiotici e traccia interessanti paralleli con le infezioni da Coronavirus.
Lo studio è stato svolto dalla Dott.ssa Agata Famà con i Professori Concetta Beninati, Carmelo Biondo, Giuseppe Mancuso, Angelina Midiri e Giuseppe Teti del Laboratorio di Biotecnologie del Dipartimento di Patologia Umana.
A livello globale lo pneumococco causa più morti di qualsiasi altro patogeno, soprattutto tra i bambini e gli anziani. Si calcola che più di un milione di bambini muoia ogni anno di polmonite e meningite causate da questo batterio. E’ disponibile un vaccino efficace, che però non offre una copertura totale, a causa della molteplicità dei sierotipi di pneumococco. Oltre a ciò sono in aumento le infezioni causate da ceppi resistenti agli antibiotici e questo impone lo sviluppo di strategie alternative per trattare queste infezioni. Un passo avanti in questo senso è stato compiuto dai ricercatori dell’Università di Messina che hanno identificato i meccanismi attraverso i quali il nostro sistema di difesa “percepisce” la presenza di questi batteri e richiama nella sede dell’infezione globuli bianchi in grado di uccidere il microrganismo. Si tratta dello stesso gruppo che ha ricevuto alla fine dello scorso anno un importante riconoscimento dalla Fondazione Buzzati-Traverso (miglior lavoro di genetica microbica) per il lavoro svolto dalla Dott.ssa Germana Lentini, che ha collaborato anche a questa ricerca. Come dimostrato dai ricercatori messinesi, le cellule che si trovano nel polmone (soprattutto i macrofagi alveolari) inglobano alcuni pneumococchi e ne distruggono gli strati esterni nelle fasi iniziali dell’infezione. Ciò espone gli acidi nucleici (RNA e DNA) dei batteri, la cui presenza viene rilevata da particolari recettori (denominati recettori Toll-simili, o TLR) posti in vacuoli all’interno della cellula. L’importanza della ricerca sta non solo nell’identificazione degli specifici TLR (in particolare i TLR7, 9 e 13), ma anche nella dimostrazione che questi agiscono in maniera cooperativa per scatenare la reazione infiammatoria. La ricerca dimostra che un meccanismo di questo tipo è attivo non solo nei confronti degli pneumococchi, ma anche di altri batteri. Infatti l’identificazione di questi recettori rende possibile l’uso di farmaci in grado di stimolare le difese dell’ospite o -nel caso in cui la reazione immune risulti eccessiva- di attenuare la reazione infiammatoria. Com’è noto, terapie anti-infiammatorie di questo tipo (ad es.farmaci anti-artrite) vengono attualmente sperimentate nei malati di COVID-19. E’ singolare come il meccanismo di difesa contro le infezioni pneumococciche sia basato su TLR in grado di riconoscere l’RNA, quali il TLR 7. Questo recettore è stato infatti implicato anche nel riconoscimento dei virus a RNA a singolo filamento quali il SARS-CoV2. Ciò apre la stradaall’uso di terapie volte a modulare le reazioni del sistema immune sia durante le infezioni batteriche che virali.