Cos’è e a cosa serve lo statuto comunale? Occupa sicuramente un posto importante nella gerarchia delle fonti normative. La parola chiave è autonomia ed essa non può essere solo rivendicata, ma occorre affermarla e praticarla con autorevolezza, competenza e lungimiranza. Il primo step è quello di individuare i marcatori identitari della nuova unica, grande città. Un’attenta analisi storica e culturale è alla base di un’ipotesi di consolidamento e sviluppo socio-economico.
Contenuti e redazione dello Statuto della Città di Corigliano-Rossano, si parte oggi con il primo della serie di contributi promossi dallo Studio Candiano Avvocati con l’obiettivo di stimolare il dibattito e le attività istituzionali in corso sull’importante momento costituente della nuova Città; aprirsi alla Comunità per concorrere a far crescere la consapevolezza ed il vero senso del diritto di cittadinanza, che non può non fondare sulla conoscenza; stimolare protagonismo civico.
LO STATUTO COMUNALE NELLA GERARCHIA DELLE FONTI NORMATIVE
Prima di accingersi a redigere lo Statuto comunale, occorre assumere la consapevolezza delle ragioni dell’intraprendenda opera, cioè sapere cosa può essere disciplinato con esso e, soprattutto, entro che limiti, per affermarne la funzione costituente senza il rischio di consumare illegittimità.
Per comprendere bene la questione occorre porsi una semplice domanda: a cosa serve la Statuto? Cioè, per disciplinare la vita e l’azione dei Comuni non erano sufficienti la Costituzione, le norme internazionali, le leggi statali e regionali, i regolamenti altrui e quelli propri? La risposta sta in un’altra parola essenziale: Autonomia.
Occorre fare un passo indietro alla Legge n. 142 dell’8 giugno 1990 sull’Ordinamento delle Autonomie locali, il primo intervento organico sulla materia dopo la Legge Comunale e Provinciale del 1934 : legge di principi, allora emanata secondo il dettato dell’art. 128 della Costituzione (art. 1), poi abrogato dalla Riforma del 2001 per come si dirà infra.
Essa riconosceva l’Autonomia delle Comunità locali, ordinate in Comuni e Province ( art. 2 ) da affermare attraverso l’adozione dello Statuto ( art.4). Quelle norme, insieme ad altre, sono poi successivamente confluite nel Testo unico degli Enti locali approvato con D.Lgs. n. 267 del 18/08/2000. Lo Statuto in particolare è oggi disciplinato dall’art. 6 del citato T.U.E.L. con variazioni ed affinamenti rispetto all’originaria previsione. In particolare ai commi 2° e 3° sono definite le materie oggetto di disciplina ed ai commi 4° e 5° le modalità di approvazione e di entrata in vigore.
Così diviene la prima e centrale fonte di regolamentazione della vita dell’Ente locale.
Si vuole dire che con l’espressione e la codificazione dell’Autonomia nello Statuto, un Comune ricerca gli spazi entro cui può rivendicare sue specificità e, per esse, la possibilità di una disciplina di tutela rafforzata. Cioè una tutela suscettibile all’esterno di superare ipotetici contrasti con le disposizioni di altre Istituzioni ad ogni livello; ed all’interno capace di orientare e conformare nel tempo l’azione amministrativa ed evitare la tentazione di facili modificazioni spinte da contingenti situazioni politiche.
Un tema assai delicato, che si risolve collocando correttamente lo Statuto comunale nell’ambito della gerarchia delle fonti normative.
Fin dall’emanazione della L. n. 142/1990 si è sviluppato un acceso dibattito sull’argomento, in cui sono apparse subito insufficienti le tradizionali categorie di fonte primaria e fonte secondaria.
Di tal chè da subito l’affermazione di interpretazioni forti come quelle di chi – a fronte della novità degli Statuti comunali – era ricorso alla definizione di fonte sub primaria o para primaria, con collocazione tra la fonte di legge e quella Regolamentare : interpretazione che fondava sulla natura di legge di principi della n. 142/1990 e sulla previsione di una riserva di competenza a favore dello stesso, nonché dell’effetto abrogativo di esso rispetto alle disposizioni previgenti incompatibili.
Un contesto un po’ debole per i sostenitori ad oltranza dell’Autonomia in quella prima stagione costituente per i Comuni, confermato dalla generica previsione sulle funzioni contenuta nell’ art. 9 della stessa Legge di riforma, nonché dalla complessiva impreparazione della classe dirigente politica e burocratica dell’epoca, abituata a tradurre la propria azione in provvedimenti amministrativi esecutivi o di programmazione settoriale, circoscritta nella vecchia logica dei controlli preventivi, prima statali con le Prefetture e poi regionali con i Comitati di controllo; e priva della duttilità necessaria rispetto al nuovo sistema dei controlli interni.
Il discorso cambia dopo che – con la Riforma del Titolo V del 2001 – al tema si è data copertura costituzionale con la previsione dell’art. 114 secondo cui <.....i Comuni ...sono Enti autonomi con propri Statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione>. Cui collegare la nuova previsione dell’art. 118 della Carta che – ribaltando lo schema precedente ed operando una rivoluzione copernicana – attribuisce in primis ai Comuni le funzioni amministrative e – solo per garantirne l’esercizio unitario – a Stato, Regioni, Province e Città Metropolitane secondo i principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza.
E allora ecco che oggi l’esperienza della redazione (o della revisione) di uno Statuto diventa anche più interessante, perché può confidarsi in limiti più larghi rispetto a quelli tenuti presenti nei primi anni ’90 del secolo scorso. Ancor di più nel caso di Corigliano Rossano, in cui si va oltre l’aggiornamento, con la redazione del primo Statuto di una Città nata dalla fusione di due grandi ed importanti realtà. L’idea di Autonomia è esaltata ed espansa dall’espressione usata dall’art. 114 della Costituzione prima riportata, con il richiamo al solo limite dei principi fissati dalla Carta.
Avanza e si afferma così l’idea che lo Statuto prevalga sicuramente sui Regolamenti governativi o regionali ed, in un certo senso, si ponga sullo stesso piano della legge. Fino ad affermare che esso possa derogare alle norme dispositive della Legge, purché in armonia con quelle di principio. Ora, al momento di tradurre in termini pratici le discussioni in punto di diritto sulla collocazione dello Statuto nella scala gerarchica, è opportuno che la rilettura del sistema delle fonti alla luce della Riforma del 1990 e della costituzionalizzazione data nel 2001 alla potestà normativa dei Comuni, sia resa utile per definire il criterio della competenza, ispirato dai ricordati principi ex art. 118 Costituzione. In altri termini è la disciplina delle specificità degli interessi locali a definire le competenze del Comune, che in sede Statutaria potranno essere espanse al massimo delle loro potenzialità e rappresentare nello stesso tempo un limite per l’intervento dispositivo dello Stato e della Regione.
Si vuole dire che una volta individuati i marcatori identitari della Comunità in sede di analisi storica e culturale e costruita su di essi l’ipotesi di consolidamento e sviluppo socio-economico, con abile tecnica redazionale occorrerà emanare la disciplina finalizzata alla valorizzazione dei primi ed alla costruzione delle condizioni favorevoli per l’attuazione della seconda. In tal modo il Comune può essere reso un “effettivo soggetto di governo”. In definitiva, l’Autonomia non può essere solo rivendicata, ma occorre affermarla e praticarla con autorevolezza, competenza e lungimiranza.