“Ormai questo problema è diventato tristemente noto. Siamo preoccupati. Io ribadisco il mio invito ricorrente al rispetto dei diritti di tutti, a prescindere dai reati che un detenuto possa aver commesso. Chi indossa una divisa deve portare rispetto sempre e comunque per gli altri e, se si macchia di qualche colpa acclarata, deve essere perseguito penalmente, poiché in quei momenti il carcerato è sotto la tutela dello Stato”.
Ne è convinto Roberto Soldà. Il vicepresidente dell’Italia dei Diritti, il movimento extraparlamentare presieduto da Antonello De Pierro, si riferisce alla drammatica vicenda di Giuseppe Saladino, il trentaduenne morto sabato scorso nel carcere di via Burla a Parma, in circostanze ancora poco chiare. Già avviata un’inchiesta per omicidio colposo contro ignoti. Inevitabile il riferimento al “caso Cucchi”, anche se le analogie tra i due fatti tragici sono ancora tutte da accertare.
“Esigo che su queste vicende vengano portate piena luce e trasparenza, in quanto queste macchie d’ombra offuscano inesorabilmente il buon lavoro svolto da tanti appartenenti alle forze dell’ordine”, ha evidenziato Soldà, che ha espresso, inoltre, la sua vicinanza alla famiglia e alla mamma di Saladino che, in quindici ore, dal momento dell’arresto al momento della dolorosa telefonata da parte del direttore del carcere, si è vista strappare via la vita del figlio.
Un commento piuttosto duro sull’episodio arriva anche dal responsabile per la provincia di Parma dell’Italia dei Diritti, Alessandro Damalio: “È naturale che il pensiero vada immediatamente alla vicenda di Cucchi, visto che il caso sembra abbastanza simile. Aspettiamo l’esito dell’autopsia e le indagini della giustizia. Tuttavia, qualora fossero confermate le responsabilità delle forze dell’ordine, ritengo doveroso epurare i vertici del corpo di polizia colpevole degli sconcertanti abusi che potrebbero aver provocato la morte del giovane Saladino”.