“La situazione è molto critica e urge una sensibilizzazione sulla vicenda di questo signore africano che da anni vive nel nostro paese e che si trova attualmente senza una casa, un lavoro e un vitto”.
L’Italia dei Diritti, per bocca del suo responsabile per il Friuli-Venezia Giulia Luigino Smiroldo, ha deciso di sposare la causa di Antonio Kissungu, cinquantatreenne angolano fuggito in Italia alla fine degli anni ottanta per scampare a una violenta guerra civile che ha messo in ginocchio la sua nazione. Con un diploma di maestro in tasca, è passato attraverso tutta la disumana trafila del clandestino pagato a ore nei campi, fino a giungere a Pordenone, dove in breve tempo ha ottenuto un contratto come dipendente in una cooperativa, poi in varie aziende. Circa tre anni fa, a causa di una labirintite che ne ha notevolmente ridotto le prestazioni lavorative, ha subìto un licenziamento e da allora per lui è iniziato il calvario. Sfrattato, è stato ospitato dal parroco finchè, grazie all’intervento personale di Luigino Smiroldo, il comune gli ha trovato una sistemazione e la provincia di Pordenone ha messo a disposizione 4.500 euro per farlo rimpatriare e avviarlo alla professione di gelataio, dopo aver svolto un periodo di tirocinio in Germania presso l’Associazione Italiana Gelatai.
“Sembrava che tutto stesse per concludersi nel migliore dei modi – ha aggiunto l’esponente del movimento guidato da Antonello De Pierro – ma sono nati altre complicazioni per via del passaporto che Antonio non ha. L’assistente sociale mi ha detto che deve essere ritirato in Angola ma l’ambasciata mi ha smentito questo iter procedurale. Nel frattempo, come se non bastasse, il sindaco ha imposto ad Antonio lo sgombero dell’alloggio e la restituzione di 1.500 euro per i pasti somministratigli, il tutto entro il 12 aprile e senza alcuna possibilità di proroga. Non posso negare la disponibilità che ci è stata accordata dalle istituzioni, ma ora questo signore rischia di finire in mezzo a una strada. Tra l’altro è di salute cagionevole e non chiede altro che di poter lavorare e vivere in maniera dignitosa”.