Una passerella elettorale. C’era da aspettarselo a tre settimane dal voto. Ma quel che è peggio tanta incertezza per il posto di lavoro, per il mantenimento dei servizi di continuità territoriale. E poche idee da portare al tavolo delle trattative con il ministro Matteoli. Anzi solo una: evitare i tagli e puntare allo spacchettamento nella quasi certezza che i 47milioni di euro che servono a Tirrenia per restare a galla difficilmente saranno trovati.
Ieri a Portoferraio è stato il giorno dello sciopero. Astensione dal lavoro e assemblea a bordo dei traghetti, aperta alla cittadinanza. Ma di cittadini neanche l’ombra. C’erano i lavoratori, i rappresentanti delle istituzioni i candidati alle comunali e alle provinciali. Da loro è arrivato un segnale bipartisan: uniti contro la privatizzazione, se privatizzazione significa tagli dei servizi e dei posti di lavoro. E questo, campagna elettorale a parte, è ciò che i marittimi volevano sentirsi dire, con la speranza che alle parole degli amministratori pubblici segua un reale coinvolgimento delle popolazioni e delle categorie economiche «che fino ad oggi – spiega Francesco Scappini della Cisl, presente in rappresentanza anche del segretario provinciale del sindacato Giovanni Pardini – hanno espresso solidarietà sui giornali ma all’assemblea non sono venuti».
Le previsioni sono tutt’altro che rosee per la Tirrenia e per la società regionale Toremar. E dunque per i lavoratori e per tutti gli elbani che di servizi di collegamento hanno essenziale bisogno. L’apertura di un tavolo di trattative con il Ministero dei trasporti un modo per prendere tempo, una goccia nel mare della crisi che sta attraversando la compagnia. I 47 milioni di euro che servono per garantire i servizi ed evitare il taglio della flotta non arriveranno certo dalle chiacchiere romane. Lo sa bene Roberto Luvini, responsabile nazionale della Filt Cgil, che mercoledì era seduto al tavolo delle trattative con Matteoli. «Il nostro primo obiettivo – ha detto ai lavoratori Toremar – deve essere quello di evitare i tagli. Dopo di che lavoreremo per l’affidamento delle società regionali alle Regioni e cominceremo a ragionare di piani industriali e servizi».
Senza soldi però, non si va da nessuna parte «ecco perché – continua Luvini – lo stato di agitazione non si ferma, anzi se necessario sarà intensificato». Della partita saranno anche gli enti locali elbani pronti a scendere in piazza con i lavoratori. E naturalmente la Regione, presente all’assemblea con il dirigente del settore trasporto pubblico Rocco Nastasi, e pronta ad allargare i cordoni della borsa per finanziare i servizi e mantenere i posti di lavoro. Neppure l’Autorità portuale si tira indietro. «E’ un bene aver fermato i tagli – afferma il presidente, Luciano Guerrieri – bene aver ottenuto la possibilità di un confronto, ma ora servono le proposte».
«Tre giorni fa – aggiunge Piero Dapelo, della Filt Cgil – a Roma erano pronti a firmare un decreto per il taglio del 40% delle risorse destinate a Tirrenia. Oggi questa prospettiva non c’è più ma non è affatto scontato che le trattative si concludano positivamente. Quello che dobbiamo affermare è la necessità dello spacchettamento: se Toremar finisce nel carrozzone della vendita Tirrenia rischia di essere cancellata. Non mi sento ottimista ma una cosa è certa: i marittimi non isseranno bandiera bianca a poppa».
E i marittimi che ne pensano? Sono pochi quelli che si azzardano a parlare in assemblea. Per loro, che vivono tutti i giorni la crisi della Toremar, il disegno è chiaro: impoverire e svendere. Il rischio è che alle navi spuntino le ali, cioè che la compagnia faccia la fine di Alitalia.
Valentina Landucci, da “Il Tirreno”, pagina Elba