Londra – Tutto il giorno in Italia si è discusso sulle intercettazioni della Procura di Palermo tra il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano e l’ex ministro, Nicola Mancino.
“Si è di fronte con tutta evidenza ad uno strumentale attacco contro la personalità che costituisce il riferimento essenziale e più autorevole per tutte le istituzioni e i cittadini”, per cui “ci si deve opporre ad ogni tentativo di destabilizzazione del Paese”.
Così il premier Monti in una telefonata a Napolitano esprime la sua “solidarietà”. “Il Paese -aggiunge Monti – saprà reagire a difesa dei valori costituzionali incarnati in modo esemplare dal Presidente Napolitano e dal suo impegno instancabile al servizio della nazione”.
Prima di Monti, nel pomeriggio è intervenuto prima il ministro dell’Interno, Cancellieri: “Chi offende il Capo dello Stato offende il Popolo italiano”.
Poi il ministro della Giustizia, Severino, che ha espresso la sua “piena solidarietà al Capo dello Stato che subisce l’ennesima campagna di insinuazioni e sospetti. Non si può trasformare la volontà di fare chiarezza su un tema interpretativo così delicato spacciandola come volontà di ostacolare l’indagine”.
Ma non tutti esprimono solidarità. Alcuni vogliono sapere. Esempio Maroni.
“Da ex ministro dell’Interno, la penso come Feltri: su una vicenda così grave non ci possono essere zone d’ombra. Coraggio, presidente Napolitano, mostri le carte, lei ha il dovere morale di sgombrare ogni dubbio”.
Di Pietro ha chiesto che “Napolitano renda noto il contenuto delle intercettazioni telefoniche alle quali è stato sottoposto”.
“Napolitano – ha aggiunto Di Pietro – ha un unico modo di evitare ricatti e speculazioni: renda noto come sono andati i fatti e non utilizzi il suo ruolo per delegittimare la Procura di Palermo”.
Infine il Pdl per bocca di Cicchitto ha riproposto la legge sulle intercettazioni.
“Ha ragione Casini: è primitivo sbattere le intercettazioni sui giornali – ha detto Cicchitto – e ciò vale per tutti, in primo luogo nei confronti del presidente della Repubblica a cui rivolgiamo un invito opposto a quello di Di Pietro e cioè di insistere nel conflitto di attribuzioni”.