Sorveglianza speciale contro i 5 torinesi che combatterono l’Isis? Le arringhe di accusa e difesa

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Il 25 marzo è il giorno in cui la Procura di Torino decide sulla “pericolosità sociale” dei 5 torinesi che sono partiti per la Siria per combattere contro l’Isis o in sostegno della causa curda. Gli stessi ideali per i quali è stato ucciso dallo Stato Islamico il toscano Lorenzo Orsetti.

A gennaio sono stati presentati gli atti al Tribunale di Torino. Cinque attivisti locali avevano ricevuto notifica di richiesta di sorveglianza speciale, da parte della pm Emanuela Pedrotta, in quanto – sostanzialmente – noti per la loro militanza politica, in grado di imbracciare le armi e quindi, a detta del magistrato, potenzialmente pericolosi per la società.

In attesa della decisione finale del collegio dei giudici, che potrebbero riservarsi 90 giorni di tempo per trarre una conclusione, l’agenzia Ansa riporta le arrighe di accusa e difesa.

A favore dei giovani nei giorni scorsi la mobilitazione di molti intellettuali, fra cui Zerocalcare. In occasione dell’Udienza un presidio di anarchici, antagonisti e sindacati di base si è formato davanti a Palazzo di Giustizia.

L’accusa: “Fanno della lotta al capitalismo la loro ragione di vita”

Sono persone che “hanno fatto della lotta al sistema capitalista la loro ragione di vita ed è per questo che dopo avere acquisito un addestramento di tipo militare in Siria sono diventati ‘socialmente pericolosi'”. Così la pm Manuela Pedrotta ha motivato oggi al tribunale di Torino la proposta di sorveglianza speciale per gli anarchici e autonomi che, fra il 2016 e il 2018, si sono uniti alle milizie curde delle Ypg che combattevano l’Isis. Il magistrato ha ricordato che i cinque “si sono resi responsabili di condotte violente contro le forze dell’ordine in occasione di manifestazioni contro il Tav, le politiche contro l’immigrazione, gli avversari politici all’università”. In questo senso “non è corretto – ha sottolineato – dire che se Giovanni Asperti e Lorenzo Orsetti, italiani caduti in Siria durante la guerra all’Isis, fossero tornati in Italia sarebbero stati sottoposti al medesimo procedimento: non hanno i loro precedenti”. Per il pm, dopo l’apertura del procedimento i cinque torinesi “hanno reso interviste in cui sostenevano tesi più sobrie per conquistarsi i favori dell’opinione pubblica”, ma a fare testo devono essere le prese di posizione e gli scritti apparsi in precedenza, con i frequenti richiami “alla rivoluzione”. “Non credo – ha ribadito Pedrotta – che siano andati in Siria per salvare la nostra società da una minaccia terroristica. Uno di loro ha scritto che ‘dopo l’Isis il nemico numero uno è la società capitalista’. Loro vogliono continuare la lotta in Italia”.

La difesa: “Una tesi priva di basi logiche”

Le sorveglianze speciali sono fatte in base a norme “rivolte prima verso il brigantaggio e poi verso gli anarchici e i socialisti”. Lo ha detto l’avvocato Claudio Novaro, difensore dei cinque torinesi che negli anni scorsi sono andati in Siria per unirsi alle milizie curde in lotta contro l’Isis. “Queste misure sono state adottate in modo massiccio contro gli antifascisti”, ha aggiunto ricordando che “chiedere di poter allontanare delle persone dalla loro ‘sede naturale’ per due anni è la cosa più prossima al confino di polizia”. Secondo il difensore, inoltre, è “privo di basi logiche” pensare che le competenze acquisite in guerra possano essere utilizzate per il “conflitto sociale” in Italia.

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