l World Economic Outlook del Fondo monetario internazionale di aprile 2018 aggiunge altre buone notizie a quelle già contenute nelle versioni precedenti del rapporto nel corso degli ultimi dodici mesi. la crescita mondiale per il 2018-2019 è confermata vicina al 4 per cento annuo – un valore di circa mezzo punto superiore alla media degli ultimi quarant’anni. Il +4 per il mondo è la media del +2,5 per cento dei paesi avanzati (con gli Usa e l’Eurozona che sfiorano – rispettivamente – il 3 e il 2,5 per cento) e del +4,9 per cento dei paesi emergenti dove continuano a brillare le performance di Cina, India e degli altri paesi asiatici. Tra i Bric, Brasile e Russia crescono solo del 2 per cento circa, ma si tratta di numeri molto migliori rispetto ai segni meno registrati in occasione delle gravi recessioni avvenute in questi paesi nel 2015-16. In Europa, l’Italia cresce – come sempre – un punto percentuale in meno degli altri.
Gli scricchiolii della crescita europea e italiana
Come al solito, i dati del Fondo monetario riflettono informazioni relative a dati trimestrali che diventano disponibili solo con un certo ritardo (mediamente di 45 giorni rispetto alla fine del trimestre). Uno sguardo a dati mensili più aggiornati suggerisce fa emergere qualche elemento meno favorevole nel quadro roseo descritto dall’istituto di Washington. Gli scricchiolii riguardano soprattutto la crescita europea.
Tra gli altri, il primo numero da considerare per la sua elevata correlazione con l’andamento del Pil è quello della produzione industriale. I dati di gennaio e febbraio 2018 mostrano due segni negativi consecutivi per l’industria nell’area euro nel suo complesso e in particolare per Germania e Italia, cioè per i due stati con la più pronunciata vocazione industriale tra i grandi paesi del Vecchio Continente. Per l’Italia il dato di febbraio evidenzia un +2,5 per cento rispetto allo stesso mese del 2017. Ma il dato si era avvicinato ad un +5 per cento alla fine del 2017. Da allora, l’arretramento di oggi.
La figura 1 – relativa alla produzione industriale dell’area euro nel suo complesso e ai suoi paesi più grandi – mostra che la crisi del 2011-13 è ormai solo un ricordo per l’area euro nel suo complesso, i cui livelli di produzione industriale sono nettamente superiori rispetto a quelli della prima metà del 2011. Per la precisione, fatta 100 la produzione industriale dell’aprile 2008 e 90 il suo livello del primo semestre 2011, oggi siamo a 96. Il risultato dell’Eurozona è però la media di prestazioni molto diverse nei settori industriali dei vari paesi. In Germania la produzione industriale è a 104, dunque al di sopra non solo dei livelli precedenti alla crisi dell’euro, ma anche a quelli dell’aprile 2008. L’industria francese e quella spagnola hanno recuperato i livelli del 2011, ma non quelli del 2008. L’Italia, pur sperimentando un ritorno di produzione industriale a partire dal 2015, presenta ancora livelli di produzione industriale lontani sia dai livelli 2008 che da quelli 2011, rispettivamente di un 20 e un 5 per cento della produzione.
Nubi in arrivo dall’indice che anticipa il futuro
Ai “segni meno” relativi alla produzione industriale si aggiungono altre notizie negative. La prima riguarda le immatricolazioni di autoveicoli, un altro indicatore della congiuntura che risulta in calo in febbraio e – in modo più marcato – anche in marzo, per l’Europa e – in particolare- per Italia e Germania. E poi c’è anche la netta inversione di tendenza dell’indicatore anticipatore del futuro per eccellenza, il Purchasing Manager Index (PMI) del settore manifatturiero calcolato dalla società Markit sulla base delle interviste ai responsabili degli acquisti delle varie aziende manifatturiere. Dalla Figura 2 si vede che l’indicatore – pur rimanendo ben al di sopra al valore soglia di 50 che solitamente identifica le fasi di espansione – mostra un netto peggioramento proprio nei primi mesi del 2018, per l’Eurozona nel suo complesso e anche per l’Italia. Un altro segno del fatto che nei prossimi mesi ci aspetta un probabile rallentamento della ripresa in corso.
Nel complesso, come è vero che una rondine non fa primavera, è altrettanto improbabile che due soli dati mensili negativi possano essere presi come segni di una inversione della tendenza positiva che si era gradualmente consolidata nel tempo. Eppure, si tratta di segnali da non sottovalutare, specialmente per un paese come l’Italia che più degli altri avrebbe bisogno di una ripresa – sua e del resto dell’Europa – che si consolidi nel tempo. Con la ripresa scende il rapporto debito-Pil e il numero dei prestiti bancari deteriorati. Se la ripresa si interrompe, il rischio è che la bonaccia di queste settimane (con spread stabile e borsa in ascesa) si trasformi rapidamente in tempesta.
Francesco Daveri, da Lavoce.info, aprile 2018