Dagli strilloni a Medjugorje

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Ci sono stati i mille e passa giorni di governo, preceduti dagli altrettanti di scalata verso il potere, in cui Rignano sull’arno sembrava la Washington di House of Cards. Un paese di novemila abitanti diventato improvvisamente capitale della politica e del potere italiano. La patria di Matteo Renzi. O meglio: dei Renzi. Perché è nella profonda provincia che bisogna tuffarsi per capire i motivi di una delle più rapide ascese (e cadute) politiche della storia della Repubblica. Ma c’è un microcosmo ancora più piccolo da decifrare: Torri, frazione di Pontassieve. Qui, a dieci tortuosi minuti d’auto da Rignano, Tiziano Renzi e Laura Bovoli si erano costruiti il loro buen ritiro: una villa con piscina, impossibile da fotografare, il luogo dove l’allora premier correva per potersi rilassare e stare con la propria famiglia lontano dai riflettori. Che poi, il destino, è lo stesso campanello a cui ieri hanno suonato gli uomini della guardia di finanza per mettere agli arresti domiciliari ai genitori di «Matteo». Ma chi sono, incastri societari e guai giudiziari a parte, i genitori dell’ex premier? Lui vulcanico imprenditore dalle alterne fortune, lei ex insegnante di scuola media che poi ha preso in mano le redini delle imprese di famiglia. Una di queste è la Chil, che assume Matteo come dirigente pochi giorni prima che venisse eletto presidente della Provincia. Subito dopo l’aspettativa e i nove anni di contributi pagati dalla collettività, con una bufera politica: è la prima volta in cui gli affari di famiglia suonano come un presentimento della futura escalation giudiziaria.

Il padre dell’ex premier, 68 anni, è un signore un po’ burbero sempre col sigaro in bocca e «maneggione», così come lo dipingono i rignanesi. Segni particolari? Lo scudo crociato tatuato sul petto, con il quale da consigliere comunale della Dc ha combattuto battaglie durissime nel Valdarno del Pci impossibile da battere. Spesso solo contro tutti, ma sempre con un fido scudiero al fianco: Roberto Bargilli detto «Billy», già conducente del camper renziano della sfida a Bersani nel 2012, finito anche lui indagato. Dicono in paese che «Tiziano una ne fa e cento ne pensa». E infatti è così: tra i primissimi in Italia a recapitare nelle cassette della posta i volantini con le offerte dei supermercati, poi le pagine gialle, la rete di strilloni organizzata per distribuire La Nazione ai semafori… Poi si tuffa nella comunicazione e in consulenze commerciali con altre aziende, ma spuntano alcuni soci che poi accenderanno più fronti giudiziari. È l’inizio della frana: «Colpiscono me per colpire mio figlio», tuona a più riprese. La prima volta Tiziano lo dice ai giornalisti che, di nascosto, lo avevano seguito fino a Medjugorje con la moglie in uno dei momenti più critici.

La devozione per la Vergine, oltre al legame fortissimo con i figli e i nipoti, è il collante più forte tra Tiziano e Laura, sempre due passi indietro a lui vestendo i panni della «razionale» e di donna dei conti. Intanto i fronti delle inchieste si moltiplicano quando «Matteo» è a Palazzo Chigi: le tesi accusatorie dei pm raccontano di un Renzi senior che avrebbe intrecciato relazioni ad alto livello, contando di trarre vantaggi economici e commerciali grazie alla posizione del figlio. I guai diventano sempre più seri ed il coinvolgimento famigliare sempre più forte, tanto che in una intercettazione l’ex premier sbotta: «Babbo, non ti credo e devi immaginarti cosa può pensare il magistrato…». Gli interrogatori nell’ambito dell’inchiesta Consip fanno saltare legami storici, compreso quello tra Tiziano ed il sindaco di Rignano e medico di famiglia Daniele Lorenzini. Da Consip, all’ultimo tuffo, il padre dell’ex premier ne esce senza macchia. Poi vince la causa per diffamazione con Travaglio condannato a pagare 95 mila euro. Poi gli scivoloni di papà Di Maio e papà Di Battista. È l’inizio di un riscatto mediatico e non solo? Poi, però, è suonato quel campanello.

dal “Corriere della Sera“, 19 Feb 2019, Claudio Bozza

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