L’unità sindacale possibile

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L’annuncio di Landini

L’appello all’unificazione di Cgil, Cisl e Uil lanciato da Maurizio Landini da piazza Maggiore a Bologna il 1° maggio ha un significato implicito molto chiaro: il neo-segretario generale della Cgil comunica a tutti il proprio intendimento di voltare pagina rispetto a una stagione recente nella quale egli stesso, in veste di segretario generale della Fiom, ha provato a dar vita a un movimento politico nell’area della sinistra. L’intendimento, cioè, di tornare a essere il Maurizio Landini contrattualista, sindacalista puro. E un Maurizio Landini meno arcigno verso Cisl e Uil di quanto egli stesso sia stato negli anni passati in veste di segretario generale della Fiom.
Se questo ora è chiaro – e va salutato come un fatto sicuramente positivo per il sistema italiano delle relazioni industriali – molto meno chiaro è quanto l’appello all’unificazione possa davvero aprire una fase di transizione dalla mera unità d’azione all’unità organica, almeno fra le tre confederazioni sindacali maggiori.
Su la Repubblica dello stesso 1° maggio Landini, in un’intervista, osservava che nel secolo passato la divisione tra i sindacati era un riflesso di contrapposizioni politiche oggi del tutto superate; ed è vero. Ma è ancora ben percepibile la distanza tra le concezioni del rapporto tra lavoro e impresa – quindi del ruolo del sindacato – che ancora oggi ispirano rispettivamente la Cgil e la Cisl.

La divergenza sulla concezione del rapporto tra lavoro e impresa

Colpisce, a questo proposito, che la stessa festa del 1° maggio sia stata segnata da un netto rifiuto opposto dalla Cgil a che venissero invitati a prendere la parola, nel corso della manifestazione, alcuni rappresentanti di associazioni imprenditoriali: quasi a sottolineare che l’antagonismo tra lavoro e impresa non è superato affatto. Come se l’imprenditore potesse essere ancora considerato una figura di per sé socialmente negativa, pericolosa; e la Festa del lavoro potesse ancora essere intesa come la festa di un movimento operaio in guerra contro gli imprenditori. Settant’anni fa la spaccatura della confederazione sindacale unitaria, con la nascita della Cisl e della Uil, si è determinata proprio su questo punto: che non ha senso pensare, difendere o rivendicare il lavoro buono senza una buona impresa; che gli interessi dei lavoratori si contrappongono, sì, a quelli degli imprenditori sulla spartizione dei frutti del lavoro, ma quei frutti nascono pur sempre da una scommessa comune, al cui successo le due parti sono in tutto e per tutto co-interessate. Il rifiuto di avere gli imprenditori tra i piedi nella Festa del lavoro sembra sottolineare che questa idea non è stata ancora compiutamente fatta propria dalla Cgil.

Una conseguenza della diversa concezione del rapporto tra lavoro e impresa prevalente in Cgil e Cisl è poi la divergenza in tema di partecipazione dei lavoratori nelle aziende. E sono ancora aperte, tra le due grandi confederazioni, almeno al livello dei vertici, differenze notevoli anche sui temi del decentramento della contrattazione collettiva e del rapporto tra la contrattazione stessa e la legge.

La possibilità che modelli diversi di relazioni sindacali si confrontino e competano

Vero è che Landini, nell’intervista a Repubblica, ha parlato intelligentemente di una “unione tra diversi”. Ma se questo dovesse significare che la nuova organizzazione unitaria nasce già come una federazione di correnti sindacali fra loro contrapposte, l’unificazione perderebbe gran parte del suo significato.
D’altra parte, in una situazione in cui ancora si registrano punti di divergenza così rilevanti in seno al movimento sindacale, occorre chiedersi se per il bene di lavoratori e imprese sia meglio che si cerchino e si trovino dei compromessi all’interno degli organi di governo di una grande confederazione unitaria, oppure che i diversi possibili modelli di contrattazione e di partecipazione abbiano modo di svilupparsi nella loro compiutezza, ciascuno là dove il sindacato che lo sostiene è più forte, in un rapporto chiaro tra maggioranza e minoranza sindacale in ciascuna azienda.
Forse l’unità a cui il movimento sindacale, per ora, può realisticamente aspirare non è quella di una mega-struttura associativa onnicomprensiva, capace di mediare al proprio interno ogni contrasto, bensì quella di una solida cornice di rispetto reciproco e di regole sulla rappresentanza e sulla contrattazione nei luoghi di lavoro dotate di un alto tasso di effettività, che diano vita a un sistema di relazioni industriali nel quale modelli diversi di contrattazione e di partecipazione possano confrontarsi e competere tra loro. Gli accordi interconfederali del 2011 e 2013, riuniti nel Testo unico sulla rappresentanza del 2014, hanno tentato di costruire questa cornice. Ma a cinque anni di distanza gli ingranaggi del meccanismo funzionano ancora poco e male: richiedono dunque alcuni perfezionamenti e il “sostegno” di una legge.
In questa prospettiva, la prova di unità più convincente e più utile che Cgil, Cisl e Uil potrebbero dare, oggi, sarebbe quella di concordare con le associazioni imprenditoriali maggiori un “avviso comune” al governo – quale che ne sia il colore politico – sui contenuti precisi di una disciplina legislativa dei rapporti sindacali e degli effetti dei contratti collettivi, capace di costituire quella cornice. Allora sì il loro impegno congiunto sarebbe il segno iniziale della rinascita nel nostro paese di un sistema delle relazioni industriali forte e capace di badare a se stesso, quindi capace anche di difendere la propria autonomia e persino di…dettar legge al legislatore. (Da www.lavoce.it)

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