A cinquecento anni dalla morte di Leonardo facciamo il punto sul visionario artista di Vinci.
Leonardo da Vinci è considerato da molti l’incarnazione del genio rinascimentale e, più in generale, delle italiche virtù. Una personalità in grado di tramandare ai posteri straordinari capolavori artistici e una miriade di intuizioni e anticipazioni tecnico-scientifiche. Intuizioni nate a volte “copiando” e migliorando il lavoro di altri e persino occupandosi di un ambito che con l’arte ha apparentemente poco a che fare: quello bellico. Leonardo, infatti, provò a “vendersi” a Ludovico il Moro come ingegnere militare, anche se fu poi ingaggiato soprattutto come pittore e scenografo. Di questo campione dell’eclettismo e della sua immagine abbiamo conversato con il medievista Franco Cardini, nato e formatosi proprio dove iniziò la folgorante carriera di Leonardo: a Firenze, “culla” del Rinascimento.
È lecito considerare Leonardo una sorta di “eroe” della civiltà occidentale?
«Sì, ma senza esagerare, come fece invece Adolf Hitler, che arrivò a definire il genio toscano la massima espressione della razza ariana, lodandone tanto l’aspetto fisico quanto le opere. Di base, Leonardo era un artigiano che amava sperimentare, tornando più volte sui propri studi e sulle proprie opere e mettendosi continuamente in discussione. Tra gli aspetti decisivi nel determinare la sua grande influenza sulla cultura del tempo, oltre al genio, vi fu la sua longevità. Nato nel 1452, Leonardo si spense infatti a poco meno di settant’anni (1519): visse assai più della media dei suoi contemporanei, e ciò gli consentì di accumulare maggiori conoscenze ed esperienze».
Oltre a Hitler, anche Mussolini era un “fan” del genio toscano…
«Sì, è vero, e nel suo caso a essere sottolineata era soprattutto l’italianità del talento di Leonardo, da celebrare al pari delle sue opere. Mussolini seguiva con estrema attenzione ogni manifestazione culturale, e per quanto riguarda il maestro toscano si impegnò a promuovere la “Mostra di Leonardo da Vinci e delle Invenzioni italiane”, tenutasi a Milano nel 1939» (vedi articolo alle pagine seguenti).
Colpisce il fatto che Leonardo lavorò in moltissimi luoghi, spostandosi tra Firenze, Milano, Mantova, Venezia, Roma e raggiungendo infine la Francia. Questi continui spostamenti furono dovuti a particolari ragioni di opportunismo economico?
«Leonardo, come tanti suoi colleghi, è sempre stato al servizio di chi gli permettesse di lavorare. E questo non perché pensasse ad accumulare denaro, ma semplicemente perché era sempre in cerca dei mezzi che gli consentissero di portare avanti le proprie opere: d’altronde legno, metallo, pietre pregiate e carta costavano parecchio. Per sua fortuna, pur essendo un cane sciolto, fuori dai giochi di potere del Rinascimento, Leonardo venne costantemente richiesto, data la sua innata bravura».
Fu molto richiesto, ma qualche volta fu anche “allontanato”, come quando dovette lasciare Roma con l’accusa di essere un negromante…
«Sì, capitò che alcune abitudini di Leonardo, come il trafugamento di cadaveri, usati per gli studi di anatomia, o la cottura di occhi come fossero uova sode (una tecnica impiegata per conservarli), portarono alcuni a pensare che egli seguisse pratiche magiche. Fu però l’opinione pubblica a indurlo ad allontanarsi da Roma, e non una condanna ufficiale da parte dei tribunali ecclesiastici o civili, che non videro nulla di diabolico nelle sue pratiche».
Come mai Leonardo usò spesso simboli “eretici” derivati dal neoplatonismo, dal pitagorismo e dallo gnosticismo, filosofie che mettevano in discussione il dio biblico?
«Probabilmente perché conosceva bene le opere di Marsilio Ficino, l’umanista che nel 1463 iniziò a tradurre il Corpus Hermeticum di Ermete Trismegisto, un testo neoplatonico di buon successo, e per questo si trovava a suo agio con i simboli gnostici, ma da qui a immaginarlo impegnato in dispute religiose e sette segrete, come qualcuno ha fatto, ce ne passa. Di certo, Leonardo era un cristiano inquieto: vedeva nella natura il vero ordine delle cose, con un atteggiamento panteista (il credo per cui in tutti i particolari del creato si trova la divinità), e se avesse realizzato alcune sue opere un secolo più tardi, cioè ai tempi della Controriforma, l’inquisizione lo avrebbe verosimilmente arrestato e condannato. Ma tra XV e XVI secolo la Chiesa era più “elastica”, pronta a stupirsi di fronte all’originalità e alla cultura mostrate dal pittore, piuttosto che a scandalizzarsi».
Leonardo da Vinci può essere considerato un precursore del “metodo scientifico” teorizzato – oltre un secolo dopo la morte di Leonardo – da Galileo?
«In comune, tra i due, vi fu soprattutto la fiducia nell’esperimento, quindi in una scienza che si fondasse non tanto sulle regole logico-dialettico-deduttive della “ragione”, quanto sull’esperienza diretta. Tuttavia, la visione di Leonardo, “omo sanza lettere” come egli stesso si definiva, rimase quella di un artigiano-artista, mentre Galileo aveva un approccio che potremmo definire da filosofo-scienziato».
Matteo Liberti , da “Focus Storia Collection”, 1 Jun 2019