Guarito dopo la visita alla Madonna di Montenero

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«Avevo appena finito la messa in ricordo delle vittime del Moby Prince, mi si fa incontro un uomo sui 35 anni: mi racconta che era ormai a un passo dal ricovero al reparto di cure palliative, è venuto dalla Madonna di Montenero, e le ultime analisi hanno detto che è del tutto guarito». È il vescovo di Livorno Simone Giusti che racconta l’ultima delle storie che ha girato alla commissione di medici e teologi: ce la mette tutta per dribblare la parola “miracolo” ma è chiaro che gli verrebbe alle labbra. Tira fuori questo fotogramma durante il sopralluogo che un gruppo di vescovi toscani – Paolo Giulietti (Lucca), Giovanni Paolo Benotto (Pisa), Roberto Filippini (Pescia), Giovanni Santucci (Massa), Alberto Silvani (Volterra) – ha fatto all’Aula mariana, il santuario-bis chiuso da 12 anni.Il vescovo Giusti, monsignore con la laurea di architetto in tasca, mostra il fascino minimalista di quest’ovale quasi tutto bianco che prende luce da una finestratura ellittica nel tetto che è un giardino pensile. «E su tutte queste pareti pensiamo di mettere la gran quantità di ex-voto che i monaci non ce la fanno più a mettere dentro il complesso del santuario di Montenero: la Madonna, le grazie le fa anche oggi».Parte da qui che il racconto di quelle che chiama «straordinarie guarigioni». Top secret il nome e cognome dell’ultimo della serie: dovrebbe trattarsi di un carabiniere, non è chiaro se di stanza a Livorno o altrove. Poi un altro caso: «Riguarda una coppia che vive negli Stati Uniti e la difficilissima gravidanza che aveva messo a rischio la vita della mamma e quella del piccolo».Non è la prima volta che Giusti dice che a Montenero accade «qualcosa che non è spiegabile con i parametri che usiamo abitualmente per misurare la realtà: guarigioni fuori dall’ordinario». Nel settembre scorso, nell’anniversario dell’alluvione di Livorno, aveva citato «una persona di Firenze che a Montenero è guarita dal tumore» e «una coppia arrivata in crociera, con un bambino gravemente malato».La carrellata dei casi risale all’indietro negli anni: fino alla primavera 2013, quando Giusti racconta di un uomo che bussa nella notte al portone del santuario montenerese per confidare a un monaco la sua disperazione di padre di un piccolo al quale è stato diagnosticato un tumore al cervello. Guarirà, così come accadrà «in almeno altri quattro casi». Però, di quel tumore al cervello i medici dell’ospedale pediatrico Meyer avevano detto che per quel tipo di operazione chirurgica le guarigioni «arrivano al 95%». In curia confermano che c’è una certa difficoltà nell’avere a disposizione la documentazione medica e che in alcuni casi la persona guarita si è comunque sottoposta a cure mediche rilevanti (e dunque è difficile capire cosa appartiene alla sfera della medicina e cosa a quella della fede).Sta di fatto che nell’autunno di due anni fa monsignor Giusti ha chiamato a Livorno Franco Balzaretti, esponente della Commissione medica internazionale che al santuario di Lourdes si occupa delle guarigioni dichiarate dai pellegrini.In realtà, il vescovo guarda a questi casi con gli occhi della fede. Lo fa per dire una cosa semplice: Dio non sta lassù in cielo e stop, interviene nella storia anche oggi e non soltanto in un trapassato arciremoto. Ecco che, sotto il profilo sociologico della religiosità popolare, l’evoluzione ultrasecolare delle gallerie di migliaia di ex voto “per grazia ricevuta” di Montenero raccontano molte cose. A cominciare dal fatto che sulle pareti del complesso vallombrosano c’è anche l’oggi: con l’ex voto della famiglia D’Alesio, dynasty di armatori livornesi, che ricorda la propria nave Montecristo salvata in modo rocambolesco dall’attacco dei pirati nel Golfo Persico nel 2011. O con l’ex voto del campione di ciclismo Paolo Bettini che in una mezza pagina di giornale rievoca l’ammaraggio di emergenza con il suo aereo ultraleggero. I ritagli di cronaca sono un po’ ovunque, sostituiscono i quadretti naif dell’Ottocento: sono l’attestazione che quel che si racconta è vero. O il racconto tramite giornale o l’oggetto-feticcio che rievoca l’incidente, che si tratti del volante, del chiodo ortopedico, del paraurti rotto, del casco sfondato. A tornare all’indietro nel tempo si ritrovano due ex-voto che ormai sono icone-simbolo: le babbucce della ragazzina rapita che diventerà lo spunto dell’ “Italiana in Algeri” di Gioacchino Rossini o la medaglietta della Madonna che, deformata dal proiettile del bandito, salva il poliziotto.
Mauro Zucchelli, da “Il Tirreno

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