Perché il voto ai sedicenni
Torna di grande attualità, in questi giorni, la proposta di abbassare l’età del voto a 16 anni. L’ipotesi, rilanciata da Enrico Letta, è stata subito accolta con grande entusiasmo, tra gli altri, sia dal presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, sia dal ministro degli Esteri e leader del Movimento 5 stelle, Luigi Di Maio. Si tratta di un’idea non certo nuova e già discussa più volte anche su questo sito, in diversi contributi (per esempio qui e qui).
È bene essere espliciti: l’ora di votare per i 16enni non è arrivata adesso, è arrivata da tempo perché i costi, più legati a pregiudizi che reali, sono infintamente inferiori ai benefici. Vale la pena di ricordare che la Costituzione, all’articolo 48, prevede solo pochissimi casi di esclusione dal voto: l’incapacità civile, una sentenza penale irrevocabile, i casi di indegnità morale indicati dalla legge (articolo 48 comma 4), cui si aggiungevano limitazioni temporanee o poi soppresse per i capi del partito fascista e per i membri e discendenti di casa Savoia (Disposizioni transitorie e finali).
Svuotata di ogni contenuto la previsione dell’incapacità civile (con la legge 180/1978), si tratta in sostanza di una specie di girone infernale, cui si aggiungono, peggio per loro, i minorenni. Naturalmente un limite minimo di partecipazione è necessario. E forse non tutti ricordano che la maggiore età – e i diritti a essa connessi – era rimasta fissata a 21 anni fino al 1975.
Gli argomenti a favore del voto a 16 anni sono numerosi, e peraltro è una soglia che, per le elezioni locali, politiche ed europee, è già stata sperimentata in diversi paesi, anche dell’Unione Europea (Austria e Malta, per esempio, mentre in Grecia il limite è a 17 anni). A 16 anni si può già lavorare, percepire un reddito e pagare le imposte. E vale la pena di ricordare che tutte le volte che acquistano qualcosa, anche le persone minori di 16 anni pagano un’imposta. Tuttavia, non hanno alcun diritto di scegliere i propri rappresentanti, né di influenzare l’attività politica del proprio paese. Certo, il voto non è l’unico strumento di espressione della propria volontà. E le manifestazioni giovanili (i Fridays For Future ne sono solo l’ultimo esempio) dimostrano che la voglia di partecipazione è diffusa anche tra le più giovani generazioni.
Una misura simbolica ma necessaria
Certo, è impossibile attendersi che la misura abbia una portata davvero rivoluzionaria. I sedicenni e diciassettenni in Italia sono circa 1 milione, il 2 per cento della popolazione che ha diritto di voto. Non un granché per influenzare l’esito di una votazione, ammesso, e per nulla concesso, che i più giovani decidano di votare in massa una volta che sia loro permesso. Anche aggiornando il peso politico potenziale dei giovani, l’Italia resterebbe fanalino di coda tra i paesi europei. Tuttavia, sarebbe profondamente sbagliato pensare che la misura sia inutile. Anzi, tra le altre cose, avrebbe una forte valenza educativa: in un paese che, rasentando il ridicolo, non riesce nemmeno a inserire nei curriculum scolastici lo studio della propria Costituzione, incentivare i giovani ad assumere un impegno politico non può che essere di giovamento per tutti.
Peraltro, ci sono diversi gradi possibili di adesione alla proposta. Uno, più coraggioso, comporterebbe la revisione di tutte le età di elettorato attivo e passivo presenti nella Costituzione e renderebbe possibile, per esempio, l’elezione dei diciottenni alla carica di deputato della Repubblica, età ampiamente diffusa negli altri paesi europei. Al contrario, un approccio molto conservativo prevederebbe invece una sperimentazione dell’abbassamento dell’età di elettorato attivo solo per le elezioni locali, vale a dire quelle per i sindaci e i consigli comunali. Ogni regione, peraltro, potrebbe estendere il diritto di voto per le elezioni regionali con legge propria. Infine, una via di mezzo, che non richiede alcuna modifica costituzionale e che renderebbe più omogena la legislazione elettorale europea, potrebbe portare l’abbassamento del limite di elettorato passivo a 18 anni, come nella maggior parte degli altri stati e, perché no, prevedere un passo in avanti anche del nostro paese, fissando il limite di elettorato attivo proprio a 16 anni.
Paolo Balduzzi, da “www.lavoce.info”