Come ridare smalto alla scuola senza qualità del Sud

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Il divario
Da ormai vent’anni il Mezzogiorno registra punteggi nettamente inferiori a quelli del resto del paese nei test volti a stabilire le conoscenze linguistiche, matematiche e scientifiche acquisite nel ciclo di studi. I test Pisa (Program for International Student Assessment) sulle competenze degli studenti di 15 anni mostrano in modo inequivocabile questa realtà. I due grafici che seguono riportano i punteggi medi di cinque macro-aree italiane nei domini di lettura (italiano) e matematica dal 2000, anno del primo ciclo dell’indagine, al 2018.
Analogamente, i risultati delle prove Invalsi sia del passato sia dell’ultimo anno (condotte in presenza degli ispettori nelle classi casualmente selezionate) convergono tutti nel segnalare un ritardo che arriva fino a circa 20-25 punti percentuali fra il Sud e il Nord-Ovest o il Nord-Est del paese. Il risultato per l’anno scolastico 2018-2019 è ancora più significativo perché comprende per la prima volta gli studenti nell’ultimo anno di scuola secondaria superiore. Se poi si considera che gli studenti che abbandonano precocemente la scuola (cui dunque non viene somministrata l’indagine) sono spesso quelli dai risultati peggiori e che gli abbandoni affliggono soprattutto il Sud Italia, si comprende come il divario Nord-Sud assuma contorni ancora più preoccupanti.
Il ritardo della scuola meridionale deve essere considerato come un’emergenza per tutto il paese: è come se in quelle regioni la scuola durasse un anno in meno che altrove.

Le cause
Cosa spiega un divario nella qualità dell’istruzione così marcato e persistente? I quotidiani del Sud lo attribuiscono alla bassa spesa per istruzione, a insegnanti pagati troppo poco. Ma in realtà i docenti nel Mezzogiorno vengono oggi retribuiti meglio che nel resto del paese: lo stipendio è lo stesso, ma il costo della vita è molto più contenuto. Se il problema fosse nelle paghe degli insegnanti (comunque basse in rapporto agli standard internazionali) dovremmo aspettarci di avere rendimenti scolastici più bassi al Nord che al Sud, mentre avviene esattamente il contrario. E le scuole del Mezzogiorno che hanno ricevuto finanziamenti comunitari non hanno migliorato i loro risultati neanche rispetto agli altri istituti del Sud.
Un’altra spiegazione fornita dai giornali meridionali è che siano i divari socio-economici di partenza a indurre le enormi differenze negli esiti scolastici. Ma anche questa tesi non sembra del tutto convincente. I campioni tratti dai test Invalsi (molto simili sia nella formulazione che nei risultati ai test Pisa) forniscono informazioni sul background socio-culturale dei genitori. Ciò permette di comparare i risultati di studenti che hanno genitori con lo stesso titolo di studio e livello di reddito: anche in questo caso il Mezzogiorno mostra ritardi molto forti nei confronti del Nord. Se da una parte questo è incoraggiante perché ci dice che la scuola al Sud può fare molto meglio anche senza aspettare la convergenza economica fra le due parti del paese, dall’altra ci lascia senza una risposta sul perché dei mali dell’istruzione nel Mezzogiorno.
C’è una possibile interpretazione del divario Nord-Sud nella qualità dell’istruzione: i ritardi del Mezzogiorno si spiegano in gran parte con il diverso atteggiamento delle famiglie nei confronti della scuola. Tre indizi non fanno una prova, ma puntano tutti in questa direzione.
Il primo indizio è che i punteggi dei test sono molto vicini fra Nord e Sud quando si considera la scuola primaria (si vedano i grafici 3 e 4, dove la distribuzione blu riporta i punteggi per gli studenti delle scuole del Nord e la distribuzione rossa quelli per gli studenti delle scuole del Centro e del Sud). Le distribuzioni dei punteggi in seconda elementare appaiono infatti pressoché coincidenti, sia per l’italiano che per matematica e rimangono tali sino alla fine della scuola primaria. Il divario comincia ad aprirsi a partire dalla scuola secondaria inferiore, quando il carico dei compiti a casa diventa particolarmente oneroso e gli allievi non hanno ancora una chiara idea del valore dell’istruzione. Proprio in questo periodo della carriera scolastica, dunque, il ruolo dei genitori nel verificare l’impegno profuso dai figli negli studi assume un’importanza primaria. I grafici che seguono illustrano l’evoluzione del divario tra Nord e Sud nei punteggi di matematica rilevati dagli ultimi test Invalsi.
Il secondo indizio è rappresentato dal fatto che quando il confronto è fra le scuole con i migliori punteggi al Nord e al Sud, le differenze sono più contenute. Se poi limitiamo l’analisi alle scuole con un punteggio medio al di sopra del 95esimo percentile, il divario tra Nord e Sud è minore di quello rilevato confrontando l’intero campione di scuole (vedi grafici che seguono). Oltre alle distribuzioni dei punteggi degli studenti (sempre in blu quella del Nord e in rosso quella del Centro e Sud), i grafici riportano una linea verticale in corrispondenza del punteggio mediano di ciascuna distribuzione. Laddove la distanza tra la linea mediana blu e quella rossa è minore, la differenza tra le due distribuzioni è più contenuta, come accade appunto per le migliori scuole sia per la terza media inferiore che per la quinta superiore.
È presumibile che i genitori dei ragazzi che frequentano le scuole migliori siano più interessati al percorso scolastico dei figli e probabilmente più attenti all’impegno e ai risultati che ottengono, e anche più inclini a ponderare con cura le scelte scolastiche e gli investimenti nella loro formazione. L’ipotesi è particolarmente plausibile al Sud, dove un’ampia porzione della variabilità nei punteggi degli studenti si deve alla specifica scuola, ben di più di quanto non avvenga al Nord (dove sono soprattutto le abilità dei singoli insegnanti nei vari istituti a fare la differenza).
Secondo il Rapporto Invalsi 2019, per esempio, oltre il 30 per cento dei punteggi in italiano degli studenti di terza media di Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna si deve all’istituto scolastico frequentato e alla classe (entrambe le componenti valgono poco più del 15 per cento). Abruzzo, Molise, Puglia e Campania fanno solo leggermente meglio, ma anche qui un 20 per cento dei punteggi di italiano in terza media si deve alla componente istituto (per oltre il 10 per cento) e alla classe. Ancora più alto è il dato per matematica: l’istituto frequentato e la specifica classe spiegano fino al 35 per cento circa della variabilità nei punteggi in terza media per il primo gruppo, composto da Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna. Tutto questo fa pensare che quando i genitori dedicano un’elevata attenzione all’istruzione dei figli, già a partire dalle scelte nel percorso scolastico, i divari Nord-Sud si riducono.
Il terzo indizio è che i genitori del Sud sono meno propensi a prendere l’iniziativa di andare a parlare con gli insegnanti riguardo all’istruzione dei propri figli di quanto avvenga altrove. Se vanno a un colloquio coi docenti è perché sono stati invitati da questi ultimi a intervenire sui comportamenti dei propri figli, non per capire come valorizzare nel modo migliore l’investimento in istruzione. In Italia solo il 50 per cento dei genitori discute di propria iniziativa il comportamento dei figli, contro il 57 per cento degli altri paesi che hanno partecipato all’indagine Pisa.

Cosa fare
Se la principale fonte dei problemi è la scarsa attenzione di padri e madri per quello che i figli imparano al di là del titolo di studio, il riscatto del Mezzogiorno non può che passare attraverso un impegno straordinario degli insegnanti nei confronti non solo dei propri allievi, ma anche dei loro genitori.
In Italia non abbiamo università che formano gli insegnanti e le procedure selettive valutano unicamente gli aspetti cognitivi – le conoscenze delle singole materie – ma non le capacità didattiche e le abilità non cognitive (determinazione, carisma, capacità di relazionarsi con i genitori). Occorrono veri concorsi che abbiano luogo regolarmente (ogni anno dobbiamo sostituire circa 25 mila docenti) e che offrano una possibilità a molti giovani che vedono nella scuola un promettente sbocco professionale. L’alto tasso di disoccupazione intellettuale al Sud, il grande numero di giovani altamente istruiti che da lì fuggono per andare all’estero ci fa pensare che c’è un ampio bacino da cui attingere per trovare queste professionalità. Eppure, lo stesso giorno in cui venivano resi pubblici i dati ancora una volta deludenti sulla qualità dell’istruzione nel Mezzogiorno, la Camera ha approvato un decreto destinato a riempire fino a 70 mila posti vacanti da qui al 2022 soprattutto mediante stabilizzazioni automatiche di precari, sanatorie, riaperture di graduatorie e concorsi riservati. In altre parole, riservati a chi è già dentro la scuola e ha dimostrato nei fatti di non essere in grado di imprimerle quel salto di qualità di cui ha bisogno al Sud. Sarebbero invece necessari concorsi veri chiamando nelle commissioni d’esame quegli insegnanti che hanno saputo fare la differenza anche nel Mezzogiorno: loro più di chiunque altro conoscono la qualità di cui si ha bisogno per alzare la qualità dell’istruzione.

Tito Boeri e Alessandro Caiumi, da www.lavoce.info

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