Italia ha questo di straordinario, rispetto alle altre nazioni. Non è nata dalla politica o dalla guerra. Non da un matrimonio dinastico, non da un trattato diplomatico. È nata dalla cultura e dalla bellezza. Dai libri e dagli affreschi. È nata da Dante e dai grandi scrittori venuti dopo di lui: Petrarca, che da ragazzo ebbe la fortuna di incontrarlo; Boccaccio, che per primo definì la Commedia «Divina» e la lesse in pubblico. È nata da Giotto, che Dante cita nel suo poema, e che ce ne ha lasciato il ritratto. Ed è nata ovviamente dal Rinascimento.
Per questo l’Italia è nata a Firenze. Attraverso i secoli, i concittadini di Dante hanno eretto davanti a Palazzo Vecchio, sede del Comune, molti segni di fierezza e orgoglio. La statua di Donatello che raffigura Giuditta e Oloferne: una donna che taglia la testa al condottiero nemico. Il David di Michelangelo, oggi sostituito da una copia: una pastore che uccide e mozza il capo a un gigante. Il Perseo di Benvenuto Cellini, che è invece originale (tranne lo splendido basamento): un uomo che sconfigge e decapita un mostro, quella Medusa che abbiamo appena ritrovato nell’Inferno. Siamo tra la metà del Quattrocento e la metà del Cinquecento, il tempo in cui nascono i grandi Stati nazionali. Firenze rimane relativamente piccola, non è più la grande metropoli europea del tempo di Dante, ma attraverso le opere dei suoi artisti comunica un messaggio politico: non ci arrenderemo mai; continueremo a combattere per la nostra libertà e la nostra indipendenza.
Questo è sempre stato vero, fino al nostro tempo: la prima città italiana liberata dai partigiani durante la Resistenza fu Firenze. E non è retorica.
Le parole sono retoriche se vengono contraddette dai fatti; non quando i fatti le confermano. Non è retorico Pier Capponi, quando avverte il re francese Carlo VII che, se lui farà suonare le trombe dell’assedio, i fiorentini suoneranno le loro campane, per chiamare il popolo a resistere. Non è retorica il valore sfortunato di condottieri fiorentini come Francesco Ferrucci, caduto per difendere la Repubblica dagli imperiali, e Giovanni delle Bande Nere, tradito dai Gonzaga che spalancano le porte ai lanzichenecchi, per poi lavarsi l’anima ospitando Giovanni in agonia in un palazzo di famiglia.
Oggi le loro statue sono sulla facciata degli Uffizi, accanto a quella di Farinata degli Uberti. Anche se la mano dello scultore, nel tentare di restituirne la fierezza davanti alla sorte avversa, non può rivaleggiare con i versi di Dante: «Ed el mi disse: “Volgiti, che fai?/ Vedi là Farinata che s’è dritto/ da la cintola in sù tutto ’l vedrai”./ Io avea già il mio viso nel suo fitto/ ed el s’ergea col petto e con la fronte/ com’avesse l’inferno a gran dispitto». E onestamente non credo che si possa scrivere meglio di così.
da “Corriere Fiorentino“, 6 Sep 2020, Aldo Cazzullo